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giovedì 24 febbraio 2011

Israele bombarda la striscia di Gaza e commette un autogol diplomatico

Israele ha lanciato il più grosso bombardamento della striscia di Gaza dopo la guerra combattuta alla fine del 2008 ed all'inizio del 2009, ch eprovocò più di 1400 morti in appena tre settimane. L'azione militare è stata eseguita come rappresaglia al lancio di un missile contro la città di Beersheva, capitale del deserto del Negev. Il razzo non ha fatto feriti ed è stato lanciato dopo violenti incidenti tra palestinesi e soldati israeliani avvenuti nella striscia di Gaza. Tel Aviv ha dunque deciso di rispondere con una azione molto violenta in un momento storico alquanto inopportuno, con le rivolte arabe in corso, dove la componente integralista è generalmente minoritaria, ma resta comunque una presenza importante all'interno dei moti di piazza. Israele invece di mantenere un basso profilo sceglie la via della forza per intimidire gli avversari e forse anche per avvertire chi pensa di attaccarlo di avere intenzioni e mezzi adeguati per rispondere. E' una tattica propria di un politico come Netanyahu che predilige mostrare i muscoli anzichè passare per la via diplomatica. Il bombardamento segnala uno stato di inquietudine e di nervosismo presente nel paese della stella di Davis, che nemmeno le rassicurazioni statunitensi sono bastate a placare. La situazione incerta dell'Egitto, che garantiva l'applicazione degli accordi di Camp David in senso integrale e senza tentennamenti, lo stato di agitazione nei paesi arabi, la presenza delle navi da guerra iraniane hanno, di fatto innalzato il livello di attenzione ed il termometro della tensione israeliana, tuttavia effettuare un'operazione bellica così eclatante mette Israele in una luce del tutto negativa, anche cercando di isolare dal contesto generale il bombardamento, è impossibile non interpretarlo come avvertimento preventivo. La politica estera israeliana, specialmente alla luce dei nuovi accadimenti, andrebbe rivista, in questo momento sarebbe opportuno concedere qualcosa di tangibile ai palestinesi anzichè bombardarli, non sembra il momento giusto per esasperare gli animi, ma cogliere l'opportunità delle rivolte per cercare di accreditarsi sotto una diversa ottica alle nascenti democrazie.

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