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venerdì 18 marzo 2011

Il nuovo corso della politica estera USA

Esiste una notevole differenza nell'esportazione della democrazia tra le ultime due amministrazioni americane. Dall'intervento diretto armato ad una politica più sottotraccia e maggiormente affidata alla diplomazia. Anche nelle situazioni ereditate, come l'Afghanistan, Obama, ha introdotto nuove metodologie da affiancare allo strumento militare. Nelle rivolte del sud del Mediterraneo, agli USA è stato rinfacciato di avere avuto una visione miope, perchè non ha saputo prevedere l'evoluzione della situazione. In realtà il fattore temporale delle rivolte, con i loro scoppi simultanei è risultato da subito sospetto. Difficile non vedere una o più mani dietro il sipario, d'altronde paiono rivolte, che nelle loro implicazioni sembrano annoverare anche l'obiettivo di evitare una deriva integralista. Rispetto ad altro tempi storici, ad esempio il bombardamento di Tripoli, gli USA restano in retroguardia, non appaiono mai in prima fila, per non colpire la suscettibilità araba e per perdere quella aura negativa, da paese imperialista, secondo una vecchia definizione, con la quale gli USA sono stati identificati. Uno degli obiettivi di Obama, nella politica internazionale, pare proprio quello di cambiare l'immagine statunitense cristallizzata in una connotazione negativa. Anche nei rapporti con gli alleati vi è minore dirigismo, si ricerca un maggiore coinvolgimento ed una maggiore collaborazione. Tutto questo non vuole dire la rinuncia ad esercitare i diritti di una superpotenza, si tratta soltanto di un diverso modo di esercitarli, il comportamento sottotraccia non è meno efficace, avere scelto di utilizzare quantitativamente meno l'uso della forza, privilegiando la diplomazia e lo studio degli altri paesi porterà presto risultati evidenti.

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