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domenica 18 settembre 2011

Considerazioni sul debito pubblico cinese

Il debito delle amministrazioni provinciali cinesi ammonterebbe a 2.300 miliardi di dollari. La stima sarebbe corroborata dal fatto che diverse amministrazioni locali cinesi sono vicne al default. Se si trasferisce questa somma, da sola, al debito dello stato cinese, la Repubblica Popolare diventa il secondo stato al mondo ad avere il più alto debito pubblico, dietro agli USA. La ragione del debito pubblico delle amministrazioni locali è dovuta in gran parte al fatto, che tali amministrazioni devono farsi carico della costruzione delle infrastrutture, strade, ferrovie, aeroporti, metropolitane, che costituiscono parte integrante dei motivi dello sviluppo cinese. Quindi lo stato centrale non può permettere, in ultima analisi, che le amministrazioni più esposte falliscano e deve quindi intervenire con la propria liquidità a coprire i buchi del debito. Ma così facendo toglie capitale da destinare alla crescita industriale, finora sostenuta in modo massiccio e chiave di volta per l'affermazione a potenza di rango mondiale. La questione del debito delle amministrazioni locali costituisce una sorta di debito occulto per il dragone, che Pechino non rende pubblico, cercando di mantenerlo il più nascosto possibile. Ma l'entità accumulata ha ormai raggiunto livelli di guardia, che non permette la continuazione della politica dello struzzo. Il PIL cinese ha già iniziato a contrarsi ed una delle cause è proprio l'alto tasso di indebitamento presente nel mercato finanziario globale del paese. Del resto anche i fenomeni inflattivi si sono presentati in maniera massiccia, rendendo il sistema cinese tutt'altro che immune dalle patologie dei sistemi capitalistici. Oltre a riflessi di tipo sociale, che si stanno acuendo e che sono dovuti a questa situazione economica, la Cina deve rivedere la propria politica finanziaria per non restare intrappolata nella spirale generata da debito ed inflazione, che può portare a situazioni che Pechino potrebbe non essere preparata a gestire. In questo momento pare difficile comprimere le opere pubbliche, che sono necessarie per completare le infrastrutture necessarie al paese, quindi resta la stretta sul credito per l'industria, con un conseguente abbassamento della produzione, dettata anche dalla minore richiesta di beni, proveniente dai paesi esteri sottoposti alla crisi mondiale. La contrazione della produzione però può metere in moto fenomeni di disoccupazione interna a cui si dovrà dare necessariamente risposta. Le masse che premono dall'interno del paese non si possono disperdere con semplici operazioni di polizia, volente o nolente Pechino dovrà ripensare il proprio atteggiamento sul welfare investendo maggiore risorse per il benessere dei propri cittadini. Socialmente la Cina, ha quindi davanti due strade per affrontare la crisi: o inasprire le misure restrittive o assumere, pur nel quadro del regime al governo, modifiche che introducano un mix di riforme che permettano ad almeno parte dell'economia di sfuggire al rigido controllo. Ma pur essendo la seconda strada la più logica per noi occidentali, le vie prese dal governo cinese paiono andare nella prima direzione, gettando il paese verso un abisso di terrore, che però avrà nelle leggi immutabili del mercato finanziario, uno dei peggiori nemici.

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