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lunedì 26 settembre 2011

L'incognita delle elezioni USA

Sulle prossime elezioni americane soffia il vento dell'incertezza. Malgrado gli entusiasmi suscitati in campagna elettorale, seguiti allo slogan "Yes we can", Obama appare in crisi evidente. Ben poco di quello annunciato è stato fatto, inoltre per mantenere il governo del paese il Presidente degli Stati Uniti, ha dovuto più volte chinare la testa, nei confronti dei repubblicanio, andando così, a tradire lo zoccolo duro dei suoi elettori. Con l'economia USA sferzata da una crisi senza precedenti, le cui colpe però risalgono in gran parte ai presidenti precedenti, Obama, in effetti, ha dovuto combattere con armi spuntate, senza potere realizzare i piani ambiziosi promessi durante la campagna elettorale. Ad Obama è anche mancato l'appoggio dell'organo legislativo, finito in mano ai repubblicani, determinante per la realizzazione della propria politica. Quello che ne è risultato è stata una politica di compromesso che ha spesso scontentato la parte più povera degli americani, maggiore serbatoio di voti del Presidente in carica. I valori fondamentali dell'economia USA, risultano peggiorati e la povertà è cresciuta, il quadro complessivo della nazione americana risulta fortemente negativo; Obama cerca ora di dare un colpo di reni in extremis, alla sua presidenza, con il rilancio dell'economia mediante un piano del lavoro molto ambizioso, che verte sulla costruzione delle infrastrutture, finanziato, in parte dalla tassazione sui redditi più alti. La manovra ha il duplice scopo di fare rientrare nell'alveo elettorale i consensi perduti e di tagliare la crescente disoccupazione. E' una manovra quasi disperata per riguadagnare proprio quei consensi, su cui Obama pareva avere la certezza. Se il fronte interno non va bene, anche sul fronte estero la leadership di Obama accusa battute d'arresto, che l'eliminazione di Bin Laden non è riuscita a coprire. Il difficile trascinarsi dei conflitti iraqeno ed afghano, sopratutto il secondo, acuiscono l'indifferenza ed anche la contrarietà del popolo americano verso una politica estera sempre più non compresa dal cittadino comune. Forse Obama si è dato obiettivi troppo ambiziosi, sta di fatto che la percezione dell'uomo statunitense è che l'amministrazione in carica sia ben lontana da raggiungere, va detto che il periodo di quattro anni è un tempo troppo breve per risolvere problemi che sono strutturali, sia nell'economia, che nella politica estera, tuttavia, se vorrà essere rieletto, Obama dovrà essere convincente nello spiegare di avere ancora bisogno di altro tempo per portare aventi la sua opera politica. Paradossalmente, Obama ha un alleato nelle profonde divisioni che attraversano il partito repubblicano, infatti si può tranquillamente dire che se Atene piange, Sparta non ride. Il monolite repubblicano non è più tale, la forza d'urto del movimento dei tea-party ha saputo scalfire le paludate certezze del compassato partito di Regan e Bush. Andando ad intercettare i sentimenti dell'America più profonda, il tea party ha creato una vera e propria corrente a destra del partito, nella quale molti vecchi repubblicani faticano a riconoscersi. Il problema è che questa corrente sta prendendo la maggioranza del partito ed i vecchi dirigenti non riescono andare oltre il discorso fiscale e della supremazia americana in politica estera. Materie che riguardano il sociale, seppure viste da destra, non sono ancora entrate nel dna del vecchio partito repubblicano, favorendo di fatto, l'ascesa del tea party. Il quadro determinatosi, da ambo le parti, fa prevedere un innalzamento dell'astensione, che sarà, presumibilmente, il maggiore partito statunitense, trasformando la prossima competizione elettorale in un grande punto interrogativo.

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