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martedì 1 novembre 2011

Referendum in Grecia sugli accordi con Bruxelles sul debito di Atene

L'Islanda ha fatto scuola: anche la Grecia indirà un referendum sulle misure prese in accordo con Bruxelles per la riduzione di parte del debito pubblico di Atene. Da una parte la pressione sempre maggiore della piazza, che ha assunto connotati da vera e propria rivolta sociale, dall'altra il concreto dubbio di non riuscire a sopportare misure così draconiane in campo economico, hanno obbligato il governo greco a prendere atto, che per gli assetti interni, si rende necessaria una consultazione che coinvolga l'intero paese sull'accettazione esplicita delle ristrettezze imposte dalle conseguenze della situazione debitoria. George Papandreu, il primo ministro greco, ha detto esplicitamente che se i greci non vogliono l'accordo con la UE, non condividendone lo spirito, l'accordo non sarà adottato. Fare un pronostico su di un referendum di questo genere è fin troppo facile, il costo delle misure concordate con Bruxelles ricade sulla maggioranza del popolo greco, che non si sente responsabile di questo stato di cose, quindi il rigetto dell'accordo è pressochè scontato. La prima analisi che occorre fare è perchè si è arrivati a questo punto, dopo trattative estenuanti che hanno condizionato con il loro avanzamento altalenante le borse mondiali? Se è assodato che la quasi totalità dell'opinione pubblica greca era ed è contraria alla contrazione indiscriminata del proprio reddito, non si comprende come il governo operi, in poco tempo, un tale voltafaccia. Devono essere presenti ragioni di ordine internazionale e finanziario, peraltro difficili da comprendere, che hanno determinato questa scelta che definire pilatesca è poco. Non si comprende come mai, allora non optare per un default controllato fin da subito, che avrebbe risparmiato l'ondata di manifestazioni di piazza e l'altalena della borsa di tutto il continente. Inoltre tale decisione mette in pericolo praticamente certo, il castello di carte su cui ormai si basa la zone euro. Mettere una salvaguardia al debito greco voleva dire proteggere anche il debito dell'Italia e la Francia, il paese con le banche più esposte verso il debito greco. Infatti Sarkozy è stato il politico che ha avuto la reazione peggiore, il sistema bancario francese rischia di implodere gettando il paese nel più completo caos finanziario, Se questa ipotesi dovesse verificarsi per la Francia si concretizzerebbero valori economici molto peggiori degli attuali, tanto da determinare un salvataggio del volume necessario di quello italiano, seppure per motivi differenti.
Questo scenario prefigura il fallimento concreto, perchè non recuperabile, dell'euro ed a seguire dell'unione politica del continente europeo. Cosa implica ciò in concreto? Per la Francia la crisi pressochè totale del credito, con una paralisi del sistema produttivo, che non potrà più sostenere alcun programma di crescita, andando cos' anche ad incidere su di un debito pubblico già consistente. Per l'Italia, non essendoci le risorse materiali a livello europeo ed oltre per il salvataggio, il fallimento dello stato, con la creazione di un vero e proprio tsunami finanziario che andrà a colpire con le sue onde gli USA, in primis, e le economie emergenti subito dopo, con la Cina ulteriore vittima illustre. E' uno scenario apocalittico quello che si prefigura, che se dovesse verificarsi andrebbe a sovvertire l'ordine che ha fin qui governato l'econima mondiale, che subirà, giocoforza, l'impostazione di nuove regole ed anche modi di vita nuovi, o forse vecchi, perchè non più praticati.

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