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domenica 11 dicembre 2011

Quale destino per il Regno Unito?

Il Regno Unito è stato finalmente messo alle strette: di fronte alla scelta di rinunciare ai privilegi per la sua finanza, fonte anche di tanti problemi per l'Unione, Londra ha preferito mantenere le peculiarità della City piuttosto che fornire un convinto si all'Europa. Non che questa sia una sorpresa, l'Inghilterra non ha mai brillato per le sue posizioni europeiste e l'ingresso in quella che sarebbe diventata la UE è avvenuto soltanto per prenderne i vantaggi senza mai rinunciare a nulla di troppo concreto. Germania e Francia hanno agito, mettendo di fatto Londra con le spalle al muro, colmando il vuoto di azione di Bruxelles, che ha mantenuto sempre un atteggiamento pavido di fronte alla questione. In ogni caso, pur essendo una mossa dovuta, arriva sempre troppo tardi e si ribadisce, non dalla parte che era preposta a farla. Quella che si apre ora è una fase nuova sia per la UE, che per il Regno Unito, che non può che portare sulla strada del divorzio politico di Londra con Bruxelles e quindi concludersi con la fuori uscita dalla UE. E' innegabile che Londra sarà destinata ad essere sempre più una isola non solo geograficamente ed anche le proprie attività finanziarie che tanto ha protetto, sul lungo periodo, finiranno per rimetterci. E' un grosso colpo per un'economia che si basa proprio sulle transazioni finanziarie e non ha più un grande tessuto produttivo, sopratutto capace di assorbire le perdite che si genereranno a causa dell'ostracismo dell'asse Berlino-Parigi, decise a colpire l'attività ed il movimento di capitali che frutta a Londra i suoi più grossi introiti. Quelli che Cameron difende sono privilegi di pochi e che sopratutto varranno soltanto sull'andamento del breve periodo, poi non si potrà che scegliere il ritorno a Bruxelles con la cenere sul capo, ma con condizioni tutte da riconcordare o cercare soluzioni alternative, tenendo conto che a quel punto il mercato continentale, relativamente a qualsiasi genere di merci, prodotti o servizi, sarà per Londra praticamente chiuso. Non è pensabile, perchè non percorribile in maniera ulteriore, una qualche forma di alleanza più stretta con gli USA di quella già attualmente esistente, inoltre, pur con tutta l'importanza che riveste Londra per Washington, è impossibile che gli USA optino, in caso di scelta, tra l'intera UE e Londra, in caso di accordi economici, di cui, peraltro, gli Stati Uniti hanno disperato bisogno: anche senza Inghilterra, il territorio dell'Unione Europea è un mercato, sopratutto per dimensione e potenzialità sempre appetibile. Londra potrebbe riservare una maggiore attenzione alle sue ex colonie, ma la distanza e, sopratutto, il grado di sviluppo di alcuni paesi, un esempio per tutti l'India, non permetterebbero al Regno Unito di avere trattamenti tali da giustificare alleanze stringenti come nel caso UE. Nonostante questo oltre il sessanta per cento di inglesi appoggia, secondo gli ultimi sondaggi, Cameron, che non gode però del favore politico dei suoi alleati al governo, i liberal democratici, che ritengono un grosso errore separarsi dalla UE. I dubbi degli alleati dei conservatori si basano proprio su ragioni economico strategiche, per la direzione che sta imboccando la strada che porta alla separazione dall'Unione Europea. Difficile dire se il nascente dibattito potrà riportare sulle proprie decisioni il governo inglese: dietro la questione nazionalistica, sbandierata dall'opinione pubblica, si celano interessi e sopratutto soggetti che mirano a guadagni rapidi e che potrebbero, poi, lasciare il paese in caso di sopravvenuta mancata convenienza al proprio destino. In ogni caso per il Regno Unito la fase aperta, oltre ad essere densa di rischi, determinerà un destino dal quale sarà, in seguito, difficile uscire.

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