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giovedì 29 dicembre 2011

Se l'Iran blocca Hormuz?

Lo sviluppo degli eventi che rischia di prendere la questione iraniana, pone la pace mondiale sempre più a rischio. Il problema delle sanzioni dell'occidente, che potrebbero inasprirsi ulteriormente entro breve tempo, sulla questione nucleare di Teheran apre un nuovo fronte, fino ad ora non ancora toccato: infatti il regime teocratico ha minacciato espressamente di bloccare lo stretto di Hormuz, attraverso il quale transita più di un terzo del consumo di greggio mondiale, costituito dalla produzione di petrolio, oltre che iraniano, anche di Arabia Saudita, Bahrein, Emirati Arabi Uniti, Iraq, Qatar e Kuwait. Gli effetti immediati di tale blocco andrebbero ad impattare sull'economia mondiale, alzando in maniera sconsiderata il prezzo del petrolio in una fase di grande recessione ed aggravando, quindi, una situazione globale di difficile gestione. E' questo l'obiettivo a cui punta Teheran per scoraggiare nuove sanzioni, ancora prima che una azione militare, si minaccia di porre in essere un boicottaggio all'economia mondiale per evitare di mettere in crisi l'economia iraniana mediante il blocco delle esportazioni del proprio greggio che contribuisce in gran parte alle entrate della Repubblica Islamica. Per Teheran è importante fare passare il concetto che dallo stretto di Hormuz o passa anche il suo petrolio o non ne passa di alcun altro produttore. Militarmente gli esperti giudicano questa minaccia facile da mettere in pratica: il braccio di mare è lungo circa 60 km e largo 30, ed è quindi agevole un suo pattugliamento continuo, sia con mezzi di superficie che sottomarini. Più difficile è prevedere gli sviluppi e le reazioni alla messa in pratica concreta della minaccia. Il quartier generale della Quinta flotta USA, di stanza in Bahrein, potrebbe organizzare una risposta immediata, che darebbe però l'avvio al tanto temuto confronto militare tra Washington e Teheran, in un teatro di guerra finora tenuto al margine dagli analisti, che prevedevano, con maggiori possibilità altri scenari quali l'Iraq ed Israele e sostanzialmente su terra anzichè su acqua. Tuttavia un attacco ad unità navali iraniane potrebbe innescare il tanto temuto lancio di missili verso Israele, come ritorsione ulteriore ed innescare un conflitto su scala più ampia, che andrebbe però a coinvolgere anche grandi potenze regionali come l'Arabia Saudita, tradizionalmente nemica dello stato iraniano a base scita. Teheran dal canto suo potrebbe contare su fiancheggiatori come gli sciti iraqeni, Hezbollah ed anche la Siria, che potrebbe trovare una ragione per alleggerire la pressione internazionale e soffocare definitivamente la ribellione. Tuttavia più che di eserciti veri e propri si tratterebbe di milizie atte a guerra asimmetrica e particolarmente dotate nella guerriglia, capaci, comunque, di ingabbiare un esercito lento e poco avvezzo al combattimento non tradizionale, come quello USA come più volte dimostrato dalla storia. Resta ora da vedere come la diplomazia occidentale prenderà le minacce iraniane: da un lato il concreto pericolo della crescita nucleare di Teheran e di conseguenza la minaccia dell'atomica in mano ad un regime per niente affidabile, dall'altro lo spauracchio sempre meno efficace delle sanzioni, che potrebbero bloccare gli avanzamenti della ricerca atomica per la mancanza del denaro proveniente dal petrolio, ma potrebbero innescare problemi economici in prima battuta, seguiti da ben più gravi conseguenze militari. In ogni caso sembra che il momento a lungo rinviato di affrontare il problema iraniano non sia più procrastinabile e per la soluzione sarebbe auspicabile coinvolgere il maggior numero di attori e nazioni.

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