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venerdì 20 gennaio 2012

Il riscaldamento globale del pianeta come fattore di destabilizzazione mondiale

La tendenza del riscaldamento globale del pianeta si sta consolidando; è questo che dicono i dati diffusi dalla NASA. Dall'inizio della registrazione delle temperature, era il 1880, quella dello scorso anno è stata la nona più alta mai registrata e comunque più alta di 0,51 gradi Celsius della media della seconda metà del secolo scorso. E' significativo che dei dieci anni più caldi mai registrati, nove sono successivi al 2000, mentre soltanto uno, il 1998, si è verificato negli anni precedenti. Nonostante il dato del 2011 sia comunque stato inferiore a quello di alcuni anni precedenti, non significa che si stia verificando un fenomeno di raffreddamento del pianeta, proprio perchè l'aumento della temperatura media è ormai una costante rispetto a tutti i dati degli anni precedenti. La NASA da per assodato che il fenomeno in atto si concretizzi a causa del fatto che la Terra assorbe più energia di quanto ne emetta, il dato è sicuro, grazie alle accurate misurazioni che avvengono tramite i satelliti. Il meccanismo dell'aumento di riscaldamento funziona grazie all'accumulo delle concentrazioni di gas, tra cui l'anidride carbonica, il cui tasso in volume nell'atmosfera era nel 1880 di 285 parti per milione, mentre nel 2011 è arrivato a 390 parti per milione, che provocano l'effetto serra. L'assorbimento della radiazione infrarossa emessa dalla terra viene effettuato dai gas presenti nell'atmosfera, che trattenendo le radiazioni ne impediscono la naturale fuoriuscita nello spazio provocando praticamente l'aumento del valore della temperatura. Questo dato, che sta diventando una costante, va a combinarsi con la grande variabilità del clima e ciò dovrebbe determinare, secondo gli scienziati, il continuo innalzamento del riscaldamento globale, associato però ad aumenti non costanti della crescita annua della temperatura, nonostante siano previsti picchi record nei prossimi due o tre anni. Questi dati non possono essere che letti con allarme nella comunità internazionale, dato che vanno ad impattare su aspetti talmente importanti che possono condizionare la vita di nazioni intere sia direttamente che indirettamente. Direttamente perchè andranno a colpire, aggravandola la difficile situazione già presente in alcuni paesi poveri, costretti a subire la fame per scarsità di risorse o per la cronica mancanza di acqua. Indirettamente per i paesi ricchi perchè dovranno fare fronte a migrazioni di interi popoli, che si preannunciano bibliche, che gli costringeranno, nella migliore delle ipotesi, a stanziare investimenti ingenti per fornire l'aiuto necessario per limitare queste emergenze umanitarie. Tuttavia i dati dicono chiaramente che l'aggravamento del fenomeno del riscaldamento si è verificato dopo il 2000 e sappiamo che coincide con la spinta impressa dall'industrializzazione dei paesi emergenti, che sono anche quelli più resti ad applicare norme restrittive sull'inquinamento. Il cambiamento economico, che ha permesso l'accesso al mercato a nuove masse di consumatori, ha quindi l'effetto più nefasto nelle condizioni generali del pianeta. La sfida è riuscire a conciliare la tendenza economica in atto con il miglioramento dei meri valori atmosferici, in questo senso il tentativo dell'accordo di Kyoto ha sostanzialmente prodotto un fallimento, perchè ha posticipato alcune soluzioni che andavano nella direzione di una diminuzione dell'accumulo di anidride carbonica di alcuni anni, per permettere sia gli adeguamenti degli impianti produttivi, sia, sopratutto, per non consentire perdite allo slancio economico in corso. Ma il problema è ben presente alle istituzioni sovra nazionali che da anni si prodigano per limitarne gli effetti, sopratutto sociali e geopolitici, seppure con scarsi risultati. Fino ad ora ciò ha determinato un approccio a queste problematiche non condiviso e con soluzioni non coordinate che spesso hanno peccato di efficienza. Il problema climatico ha, invece, troppe ricadute sugli assetti politici ed economici del pianeta per non essere affrontato con una visione il più possibile univoca e condivisa, ma la principale difficoltà contingente è appunto data dalla situazione economica globale, che data la sua negatività, rappresenta un freno consistente allo sviluppo di iniziative il più possibile allargate. E' però pensabile credere di potere posticipare ancora il problema? Si, se si mettono in conto nel bilancio sociale complessivo del pianeta sommovimenti sociali tali da produrre onde d'urto capaci di riverberarsi fino agli equilibri degli stati più ricchi, il quesito a quel punto potrebbe diventare la sostenibilità economica, sociale e politica delle nazioni coinvolte. Si pensi come esempio in piccolo cosa hanno causato le migrazioni che si sono riversate in Italia e Francia a seguito della guerra libica o le migrazioni in Kenya delle popolazioni ridotte alla fame dai paesi vicini. Questi casi sono solo piccoli anticipi di quello che potrà succedere se le carestie si allargheranno. Naturalmente non bisogna tralasciare gli effetti economici in forma di rincari di materie prime a cui andrebbero incontro i paesi ricchi in una situazione finanziaria, che anche nel lungo periodo non promette miglioramenti. Fin qui senza parlare di eventuali conflitti che potrebbero svilupparsi per impadronirsi delle risorse idriche, sempre più scarse; non è remota la possibilità che uno stato a monte blocchi il flusso di un fiume a valle, dove a valle vi è un'altro paese. Sono tutte evenienze che possono scatenare reazioni a catena di proporzioni sempre maggiori e che implicano una sempre maggiore necessità di mediazione. Intervenire, quindi sul clima con regole certe e condivise da un numero più grande possibile di stati, è un investimeno a lungo termine su tutti gli aspetti che condizionano la vita del pianeta ed è perciò urgente arrivare ad uno sbocco positivo della questione.

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