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lunedì 26 marzo 2012

Cresce la percentuale di israeliani favorevole all'intervento contro l'Iran

Lo scorso anno il quotidiano israeliano Haaretz lanciò un sondaggio avente per tema se si era d'accordo ad attaccare da parte di Tel Aviv, Teheran a causa della volontà iraniana di dotarsi di una bomba atomica. Le risposte positive furono il 50%. Trascorsi 365 giorni la percentuale di favorevoli è salita al 75%. E' un dato preoccupante, che potrebbe spingere il governo in carica a sentirsi legittimato a dare il via alle operazioni militari più volte minacciate. La campagna del governo israeliano condotta in tutte le sedi diplomatiche possibili, è solo una causa dell'aumento della percentuale favorevole all'attacco preventivo. Nella società israeliana si sta facendo strada un senso di isolamento, dovuto proprio all'atteggiamento miope del governo, che continua a gestire in modo illogico la questione palestinese e riceve continue condanne del panorama internazionale. Le due cose, infatti pur parendo slegate, sono, per certi versi complementari. Aumentando il senso di inimicizia che Israele percepisce, teme sempre di più di diventare ostaggio di un paese relativamente vicino, comunque a portata della gittata dei propri missili, senza avere più la cintura di sicurezza convinta dei paesi europei, degli USA e dell'ONU. La cattiva gestione della questione palestinese ha avuto ripercussioni evidenti, sopratutto nelle sedi degli organismi sovranazionali, dove Tel Aviv ha dovuto subire cocenti sconfitte; inoltre l'affermazione delle varie primavere arabe, specialmente quella egiziana, particolarmente temuta da Israele, ha permesso la crescita di una maggiore ostilità verso il paese della stella di David, mitigato precedentemente dai vari dittatori al governo, per motivi di convenienza sia politica che economica. Anche il rapporto con gli USA di Obama, sebbene sul piano ufficiale sia formalmente sempre di stretta alleanza, sul piano ufficioso non è allo stesso livello con le amministrazioni repubblicane. Il presidente USA, infatti, pur frenato dalla ragion di stato, che gli impone di mantenere su di una linea di continuità il rapporto tra i due paesi, preferirebbe una evoluzione positiva della soluzione dei due stati indipendenti. Peraltro anche un recente sondaggio condotto su di un vasto campione di arabi di indirizzo islamico differente, cioè sia sciita che sunnita, non proprio due gruppi che si vedono di buon occhio, diceva di preferire, nei due sensi, gli antagonisti religiosi arabi agli israeliani. Se i due terzi degli abitanti di Israele, arrivano a dire che un attacco preventivo è meglio, perchè meno pericoloso in senso assoluto, che avere l'Iran con l'arma atomica in mano, significa che lo stato di paura in cui versa il popolo di Israele, sfiora l'isteria collettiva. In sostanza gli israeliani preferiscono sopportare gli effetti immediati di una guerra, dall'esito e dalla durata incerta, piuttosto che vivere sotto la minaccia di Teheran. Ciò deriva anche da una convinzione, tutta da dimostrare, del governo israeliano, di riuscire a cancellare la minaccia atomica di Teheran con una operazione bellica. Forse sarebbe ora che in Israele cominciassero a collaborare con i palestinesi per la costruzione del loro stato autonomo, senza più bloccare il processo, ormai inevitabile, con scuse sempre meno credibili e togliere così al mondo arabo un motivo di risentimento costante nel tempo e con sempre maggiori probabilità di diventare sempre più determinante nel giudizio sullo stato ebraico. Che poi Teheran non debba avere l'arma atomica, sono i primi gli USA e di seguito l'Europa, a non volerlo, per cui forse, sarebbe meglio che Israele lasciasse andare avanti la politica di pressione internazionale delle sanzioni, per il passo militare c'è ancora tempo.

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