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martedì 24 aprile 2012

I difficili rapporti tra Israele ed Egitto preoccupano gli USA

Israele non aveva accolto bene, fin dall'inizio, la primavera araba egiziana. La permanenza la potere di Mubarak aveva permesso a Tel Aviv di stringere accordi sicuri con il vicino arabo, sia di pace, che si controllo reciproco delle frontiere, sia di collaborazione, anche in virtù del trattato del 1979, firmato alla Casa Bianca, e quindi con la benedizione degli USA, tra Begin e Sadat. Per Israele la frontiera egiziana era essenziale nel proprio scacchiere strategico, perchè rappresentava un accesso controllato in modo sicuro, che preservava, quindi il fianco meridionale, permettendo una maggiore concentrazione verso punti ritenuti più pericolosi. La garanzia del presidio garantiva invece all'Egitto di Mubarak i privilegi in aiuti economici ed armi con cui gli USA ricambiavano la stabilità della frontiera. Sebbene nei disordini di piazza Tahrir, cioè all'inizio e nel prosieguo della rivolta, non vi siano state ne manifestazioni ne una retorica contro Israele, con l'allontanamento del potere del dittatore egiziano è apparsa sempre più crescente l'ostilità contro lo stato ebraico, rimasta fino ad allora pressochè latente, in ragione del fatto che gli islamisti, tra i principali avversari di Mubarak, erano frequentemente fatti oggetto di repressione. Ma l'accordo tra Il Cairo e Tel Aviv è sempre stato percepito, non solo tra i più radicali, come un tradimento della causa araba; ciò ha determinato un progressivo deterioramento dei rapporti tra i due paesi, che ora sono caratterizzati da una reciproca diffidenza e soffrono di ulteriori margini di peggioramento. La vicenda del taglio alle forniture di gas da parte dello stato egiziano a quello israeliano rappresenta ora il culmine della tensione tra i due stati. Malgrado il tentativo di fare passare la questione, da parte di entrambi i governi come mero problema commerciale, forse nel tentativo congiunto di stemperare la questione, il fatto segue numerose diatribe, tra cui un incidente di frontiera tra le truppe dei due stati dove sono deceduti ben 11 soldati egiziani, a cui ha fatto seguito l'occupazione ed il saccheggio dell'ambasciata israeliana a Il Cairo, che di fatto ha determinato l'abbandono della sede diplomatica da parte del personale di Tel Aviv. L'attuale maggioranza parlamentare egiziana, costituita da partiti di matrice islamica, hanno più volte ribadito di non volere porre in discussione la pace con il paese vicino, ma sui reali motivi di queste dichiarazioni pesa la minaccia del mancato rifornimento dei consistenti aiuti statunitensi, piuttosto che una reale convinzione a mantenere rapporti di buon vicinato. Del resto sono proprio gli USA ad avere l'interesse del mantenimento di, almeno, una non belligeranza tra i due stati, che sarebbe in grado di aprire un nuovo fronte difficile da governare per la stabilità già precaria della regione. Per scongiurare pericoli da parte di integralisti l'esercito egiziano, che resta uno dei maggiori alleati israeliani nel paese, ha rafforzato la propria presenza nel Sinai, per prevenire atti terroristici contro Tel Aviv. In questa partita le forze armate del Cairo giocano un ruolo essenziale data la loro laicità, rappresentano un corpo sociale abbastanza impermeabile alle istanze islamiste, sopratutto le più radicali, ed insieme sono fortemente interessate agli aiuti americani, che sono per buona parte costituiti da armamenti. Ma ad Israele non basta l'aiuto dell'esercito egiziano, la certezza di una popolazione non certo ben disposta nei propri confronti appena oltre il confine ha decretato la necessità di rafforzare la presenza sui confini territoriali meridionali, con tre divisioni per rafforzare il controllo del territorio. In alcuni ambienti dello stato ebraico l'Egitto è ritenuto ancora più pericoloso che l'Iran ed in effetti, Teheran è molto lontana e materialmente non ha mai portato reali pericoli a Tel Aviv, se non con minacce cui non è mai stato dato seguito. Ben diversa in quest'ottica la valenza dell'Egitto, dal quale sono entrati e possono entrare armi per Hamas, kamikaze pronti a tutto e volontari per la guerra di liberazione della Palestina. Sebbene questo fronte riscuota minore interesse mediatico in effetti, almeno al momento è quello più gravido di pericoli immediati e tangibili e si capisce perchè Washington, malgrado stia in silenzio, segua la situazione con altrettanta attenzione e riguardo del possibile confronto tra Israele ed Iran. Se cede la frontiera egiziana, infatti, per Israele resta sicuro il solo confine con la Giordania e malgrado la potenza di fuoco dell'esercito della stella di David sia enorme diventerebbe obiettivamente difficile fare fronte a più situazioni contemporaneamente, ciò vorrebbe dire un nuovo teatro di azione per le forze armate americane: un pericolo da scongiurare comunque ma specialmente in campagna elettorale.

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