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lunedì 16 aprile 2012

Il pericoloso nervosismo di Israele

Nel comportamento di Israele nei confronti degli attivisti internazionali, che si erano dati appuntamento per l'inaugurazione di una scuola palestinese a Betlemme per denunciare la politica del controllo dell'accesso ai territori da parte dello stato ebraico, si ravvisa un comportamento pericoloso per lo svolgimento futuro della questione palestinese e degno delle peggiori dittature e forse elemento peggiore un comportamento autolesionistico che non può che denunciare lo stato di profonda confusione di cui è preda il governo di Tel Aviv. Minacciare le principali compagnie aeree europee di ritorsioni in caso di imbarco di persone presenti sulla lista dei non graditi, significa andare contro ogni logica del buon senso. Anche chi non parteggia apertamente con la causa palestinese non ha potuto fare altro che rilevare come i metodi usati da Tel Aviv sfiorino, oltre che l'inopportunità, anche una fonte di potenziale attrito con diversi paesi, che pure sono alleati di Israele. Cosa teme Israele da una protesta che in fondo non è diversa da molte altre, portata avanti si, da organizzazioni di altri paesi e quindi con rilevanza internazionale, ma in cui sono protagoniste associazioni che si presentano palesemente filo palestinesi, quindi che non portano alcuna novità alla causa della Palestina? La sensazione è che in altri tempi Israele avrebbe lasciato fare la manifestazione, controllandola da lontano, ma senza esporsi in modo così marcato di fronte ad un panorama internazionale che è completamente allibito. Ma il senso di accerchiamento e la continua tensione per la questione iraniana, devono avere alterato in maniera significativa il metro di giudizio del governo. Occorre dire, che sia la politica del controllo degli accessi e sopratutto la politica degli insediamenti abusivi dei coloni israeliani nei territori palestinesi sono atti di forza illegittimi, che il governo di Benjamin Netanyahu compie sapendo di infrangere accordi precedenti, nonostante insista ad incolpare i dirigenti palestinesi di non volersi sedere al tavolo della pace. La strategia di pressione politica messa in atto da Mazen, con la pressante richiesta di riconoscimento della Palestina all'ONU, ha, di fatto, messo all'angolo Israele, entrato nell'occhio mediatico e diplomatico internazionale. Tel Aviv non sapendo fornire risposte flessibili a causa di una rigidità di fondo, ha inasprito la sua politica costrittiva contro i palestinesi, imboccando una strada senza uscita. Il punto cruciale è che ora Israele è al centro di questioni più ampie, per le quali la soluzione pacifica e definitiva del problema palestinese rappresenterebbe un grosso contributo proprio per trovare la stabilità almeno regionale se non di settori più ampi. Questa attenzione innervosisce il governo che non può continuare una politica repressiva lontano da occhi indiscreti ed anche una banale manifestazione, ma con partecipanti internazionali è capace di turbare la situazione a tal punto da creare casi al limite dell'incidente diplomatico. Il culmine, quasi comico, è stata la patetica lettera del capo del governo israeliano agli attivisti, dove con toni da dittatore paternalista si invitava a dimostrare contro la repressione siriana o quella degli oppositori iraniani; cose che comunque non escludono di manifestare per la Palestina. Il tentativo di fare distogliere l'attenzione su Israele per rivolgerla su altre questioni ricalca uno schema già usato proprio da quei dittatori sui quali Netanyahu chiede di rivolgere le attenzioni dei sostenitori palestinesi. La situazione nervosa del governo israeliano si rivela dunque molto critica ed è un fattore che non può che destare forte preoccupazione circa la questione del nucleare iraniano, dove Tel Aviv ha più volte manifestato la volontà di un attacco armato preventivo. Quello che ne potrebbe derivare non è prevedibile ed il fatto che un arsenale nucleare sia in mano a chi assume iniziative così platealmente contro producenti innanzitutto per il proprio paese nono può che aggiungere motivi di enorme preoccupazione.

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