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lunedì 16 aprile 2012

Osservazioni sugli attentati dei talebani a Kabul

La tradizionale offensiva di primavera, da parte dei talebani in Afghanistan, è partita in modo spettacolare proprio nel cuore della capitale del paese: Kabul. La capacità tattica dei talebani ha saputo coordinare un ventaglio di attentati portati ai centri nevralgici dello stato, alle ambasciate occidentale ed alle caserme della NATO. L'uso di kamikaze, votati alla morte, ha reso più difficile l'azione preventiva delle forze governative, anche se il fallimento dei servizi segreti, gli unici in grado di fornire informazioni tali da anticipare le mosse dei terroristi, appare in questi momenti significativa. Sono occorse ben diciassette ore di combattimenti, con l'appoggio dell'aviazione leggera americana, per avere ragione dei combattenti talebani, che hanno dimostrato una notevole capacità militare, anche al di fuori dei terreni montuosi, a loro ben più congeniali. Nonostante le lodi del generale americano John Allen, che comanda l'ISAF, alle forze regolari afghane, è chiaro che il teatro di guerra di Kabul non rappresenta l'intero Afghanistan. La capitale del paese, oltre ad essere un teatro urbano, contiene al suo interno arsenali e caserme, sia dell'esercito locale che di quello NATO, che consentono un presidio costante ed una conseguente reazione rapida ad eventuali attacchi. Non così nelle zone montagnose del paese, che comprendono valli impervie ed inaccessibili e dove le forze talebane possono contare anche sull'appoggio di gran parte della popolazione. Tanto è vero che neppure i potenti mezzi dell'esercito americano, come gli altri eserciti che nel corso della storia ci hanno provato, sono riusciti ad avere ragione dei combattenti locali. Tuttavia, se fino ad ora i combattimenti più feroci si sono svolti proprio nei territori di montagna, l'attacco diretto a Kabul può essere un punto di svolta nella strategia talebana ed insieme rappresentare la consapevolezza della propria forza. E' un nuovo elemento da non sottovalutare per il prosieguo delle ostilità e della vita stessa dello stato afghano come è stato ricostruito dal 2001. La posizione di Karzai esce indebolita da un attacco così diretto al cuore del paese e probabilmente gli USA saranno costretti a rivedere la loro strategia di uscita, prevista per il 2014; inoltre l'attacco militare compiuto in grande stile, significa anche il fallimento dichiarato delle trattative dei mesi scorsi. Sul tavolo del Qatar, erano puntate le speranze americane di lasciare un paese pacificato, con il coinvolgimento di almeno quella parte di talebani che pareva più disposta al dialogo. Proprio questa divisione tra le varie componenti della galassia talebana, potrebbe fare pensare che gli autori degli attentati possano fare parte della parte più oltranzista, che con una tale operazione ha cercato, ed ottenuto, una maggiore visibilità mediatica. In ogni caso è inconfutabile che la capacità di infiltrarsi e di compier atti terroristici proprio nei centri di potere raggiunta dai talebani risulta essere notevolmente accresciuta. Ancora una volta il lavoro dei servizi segreti, come rilevato dal presidente Karzai, non è stato all'altezza e continua a rappresentare il tallone d'Achille del sistema difensivo interno. Se ad un certo punto la politica di Obama, di puntare meno sull'impatto bellico e potenziare sia i servizi di informazione, che il contatto con il tessuto sociale, mediante la costruzione di scuole e di ospedali, sembrava produrre buoni risultati, ora si torna clamorosamente indietro ed il paese, oltre che meno stabile, risulta in preda ad una frattura insanabile tra centri urbani e zone montuose, dove la sovranità del governo di fatto è inesistente. La volontà di compiere atti che hanno una cassa di risonanza così ampia è anche quella di colpire l'immaginazione del popolo americano nel momento del voto imminente. I sentimenti del cittadino medio sono combattuti tra volontà di affermazione della super potenza americana e la paura di finire in situazioni analoghe al Vietnam ed all'Iraq. Ma Obama non può, per ragioni strettamente geopolitiche abbandonare Karzai, che senza gli USA è un uomo morto. Un paese di nuovo in mano ai talebani è fuori dai progetti americani, perchè potrebbe tornare ad essere un serbatoio importante per il terrorismo internazionale. La questione diventa quindi di difficile soluzione. Probabile che per il momento il programma di ritiro resti invariato, ma dopo le elezioni qualcosa potrebbe cambiare.

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