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mercoledì 13 giugno 2012

Gli attentati sunniti in Iraq possono favorire la politica estera iraniana

I numerosi attentati di questi giorni in Iraq, contro gli sciti, rimettono al centro la questione dell'unità del paese, da sempre diviso tra el due principali correnti dell'islam. Il governo di Saddam Hussein aveva risolto il problema favorendo i sunniti e sottoponendo gli sciti ad una ferrea repressione; con il governo democratico e la concomitante partenza del grosso dei militari americani, il paese sembra sprofondato nell'ennesima spirale di violenza. Le conseguenze, oltre che sul piano interno, rischiano di essere molto pesanti su quello internazionale, con il solito Iran a fare la parte del guastatore. Non è un mistero, infatti, che Teheran ambisca a portare sotto la sua influenza il paese iraqeno, molto vicino ad un vuoto di potere, per allargare la sua sfera d'azione nella regione. Certamente, se non all'intero territorio, l'Iran mira alla parte meridionale del paese, dove vi è la maggiore presenza scita e vi sono diversi giacimenti petroliferi. La questione della presenza di sciti e sunniti all'interno dello stesso paese, poteva essere risolta con la divisione in due parti dello stato, nella fase del dopo Saddam, ma Washington non ha optato per questa soluzione, proprio per impedire che Teheran potesse, a quel punto, concretizzare le sue mire sulla parte scita del paese. La strategia sunnita mira a portare il paese nel terrore, con attentati kamikaze, che spesso hanno come obiettivo luoghi sacri per gli sciti, non a caso tra gli ultimi attentati hanno avuto come destinatari pellegrini sciti che si recavano alla celebrazione per la venerazione di un Imam. Come già accaduto per la repressione degli sciti nei paesi del Golfo Persico, Teheran potrebbe sfruttare questa situazione a proprio vantaggio, inglobandola nella propria politica derivante dall'auto nomina a paese protettore degli sciti nel mondo, specialmente quelli oggetto di prevaricazione da parte dei sunniti. Si tratta di una strategia che permette all'Iran di percorrere una doppia finalità: allargare la propria influenza su paesi stranieri, spesso nemici dichiarati, come l'Arabia Saudita, attraverso l'appoggio della parte scita della popolazione di quegli stati e nello stesso tempo, dare indicazioni a questi gruppi etnici e dirigerli verso ribellioni capaci di destabilizzare l'ordine interno. Non a caso proprio l'Arabia Saudita ha più volte protestato contro le ingerenze iraniane degli affari interni della propria nazione e degli alleati, come il Bahrain. Il progetto iraniano in politica estera si muove quindi su di una direttrice che possa annullare gli effetti dell'isolazionismo imposto dagli stati occidentali, per sfondare verso zone dove la presenza scita può assicurare un canale preferenziale verso chi si presenta come a loro come protettore e punto di riferimento religioso. Ciò determina una capacità di mobilitazione anche piuttosto importante all'interno di stati stranieri, che diventa quindi uno strumento concreto di pressione internazionale. Ma, allo stesso tempo , costituisce un potenziale pericolo per la stabilità regionale, in realtà uno degli obiettivi di Teheran pare muoversi proprio in quel senso, l'aiuto alla Siria di Assad, le citate ingerenze nei paesi del Golfo e l'attività nello Yemen, configurano l'insieme di una complessa strategia, anche sotto traccia, volta a diventare la risposta alle sanzioni occidentali, questo perchè senza una adeguata platea, la repubblica teocratica iraniana non può schierare il suo arsenale propagandistico, che ne costituisce una delle maggiori fonti di sopravvivenza.

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