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venerdì 6 luglio 2012

Presidenziali USA: Romney gioca la carta della politica estera

I temi della politica estera irrompono sulla scena della campagna elettorale americana. Mitt Romney, che ha finora preferito discutere quasi esclusivamente di questioni economiche, deve essere stato sollecitato dai suoi collaboratori ad affrontare quello che per lo sfidante repubblicano è un terreno difficile. Infatti sulla carta, su questo argomento, Obama pare troppo in vantaggio perchè può mettere sul piatto della bilancia l'eliminazione di Bin Laden, il ritiro dall'Iraq e quello prossimo dall'Afghanistan, l'atteggiamento equilibrato tenuto nei confronti dell'Iran, sottoposto a sanzioni dure, ma senza mai travalicare verso posizioni irresponsabili. Dove può sfondare, invece, Romney è sul rapporto con Israele, deterioratosi con la presidenza Obama a causa degli eccessi del presidente israeliano Benjamin Netanyahu, che ha praticato una politica espansionistica nei territori palestinesi in aperta violazione dei trattati e del buon senso. In realtà il rapporto tra USA ed Israele, visto nell'ottica democratica è stato gestito bene da Obama, che finora è riuscito ad impedire le tanto minacciate azioni preventive di Tel Aviv verso Teheran. Ma questo è proprio il punto che intende sfruttare Romney per conquistare la potente lobby ebraica americana. Aldilà delle incomprensibili dichiarazioni, che hanno rivelato un certo dilettantismo ed una scarsa conoscenza del panorama diplomatico, relative a possibili bombardamenti sull'Iran in caso di una sua elezione, Romney intende visitare Israele per fare sentire la sua vicinanza, più che al popolo al governo israeliano. E' però anche un'operazione di facciata in omaggio all'elettorato più conservatore, che interpreta l'atteggiamento di Obama verso l'Iran come una debolezza anzichè apprezzare lo sforzo di cercare di evitare potenziali conflitti. Questo aspetto è collegato al desiderio, mai sopito, dei repubblicani di vedere il proprio paese come potenza predominate sulla scena internazionale, tendenza opposta alla politica praticata da Obama, che anzi spesso ha lasciato gli Stati Uniti in una posizione defilata in più di una occasione presentatasi, valga come esempio per tutti l'appoggio ai ribelli libici che hanno visto gli USA in una posizione di seconda fila rispetto a Francia ed Inghilterra. Romney ritiene che questo sia un buon argomento elettorale e non ha esitato a rispolverare un clima da guerra fredda con pesanti dichiarazioni sul comportamento della Russia. Effettivamente occorre riconoscere che Mosca dalla rielezione di Putin ha praticato una politica estera quanto meno ardita, regalando il proprio appoggio a dittatori e stati potenzialmente pericolosi, situazione ben conosciuta da Obama, che però evita posizioni di evidente contrasto con il Cremlino, continuando nella tattica, seppure faticosa del dialogo ad oltranza. La posizione dello sfidante repubblicano, ha così provocato le immediate critiche del governo russo, che ha pronosticato, nel caso di elezione di Romney, una probabile crisi diplomatica tra i due paesi nel corso del primo anno del suo mandato. Un confronto più duro e serrato di quello attuale trai due paesi preventiva uno sconvolgimento degli equilibri attuali, che seppure poco stabili, consentono ancora margini di collaborazione tra Mosca e Washington. Vista sotto questa prospettiva la mossa di Romney di demonizzare la Russia sembra un autogol, ma potrebbe trattarsi di una mossa calcolata per tentare di recuperare l'elettorato del tea party che si è allontanato dal partito repubblicano, tuttavia negli ambienti ufficiali del partito la sortita di Romney è stata condannata da esponenti autorevoli e di grande competenza internazionale come Henry Kissinger e Colin Powell, che hanno sottolineato come il rapport con la Russia attuale non deve essere rovinato solo per la questione nucleare iraniana. L'avere affermato che Mosca rappresenta per gli USA la più grande minaccia geopolitica pare così essere un miscuglio di inesperienza e voglia di esagerare per sfondare a destra, che non segnala lo sfidante presidenziale per la sua competenza in politica internazionale, inoltre la mancanza evidente di cautela si evidenzia come una caratteristica molto pericolosa per un individuo che intende guidare la nazione più importante del mondo.

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