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martedì 10 luglio 2012

Sempre più tesi i rapporti tra Cina e Vaticano

I rapporti, interrotti ufficialmente nel 1951, tra Cina e Vaticano, sono destinati a deteriorarsi, nonostante il riallaccio con Pechino, fosse uno dei programmi del pontificato di Benedetto XV. Il nodo centrale resta sempre la questione della nomina dei Vescovi cinesi, che il Vaticano ritiene, conformemente alla dottrina, propria prerogativa, oltre che garanzia per l'unità della chiesa. Non la pensa così lo stato cinese, che vede una violazione della propria autonomia, fino a diventare una interferenza vera e propria, la nomina di un funzionario ecclesiastico operante sul proprio territorio. La questione non è nuova, tanto da avere generato due corpi cattolici, formalmente ben distinti all'interno della Cina. Infatti oltre alla Chiesa cattolica ufficiale, costretta a vivere in semi clandestinità, vi è l'Associazione Patriottica, che rappresenta l'organizzazione attraverso la quale il Partito Comunista controlla i cattolici, si tratta di cattolici atipici perchè mettono lo stato cinese davanti al Papa e godono di minore libertà di espressione, giacchè il clero dirigente è allineato in modo ortodosso ed acritico alle direttive di Pechino. In realtà la divisione tra queste due chiese non è poi così netta e spesso vi è chi ne fa parte di entrambi, anche se la situazione non è uniforme in tutto il paese e vi sono differenze, anche sostanziali, da regione a regione. La presenza cattolica in Cina si aggira ufficialmente intorno ad i cinque milioni, mentre il dato stimato ammonta a dodici milioni, ma non si hanno dati certi, proprio perchè la chiesa ufficiale è osteggiata dall'apparato, quindi il dato ufficiale si riferisce agli appartenenti alla Associazione Patriottica, molti dei i quali però, ricordiamo potrebbero fare parte anche della chiesa ufficiale. Nei giorni scorsi l'ordinazione da parte del governo di un nuovo Vescovo, padre Yue Fusheng, a capo della diocesi di Harbin, la maggiore città del nord-est, ha provocato la reazione vaticana, che l'ha definita illeggittima ed ha minacciato la scomunica per il nuovo vescovo ed i prelati a lui vicini. Fatto che ha una duplice implicazione perchè il nuovo vescovo è anche il vice presidente dell'associazione patriottica e chi lo ha ordinato, il vescovo Fang Xingyao, ne ricopre addirittura la carica di Presidente. In quest'ottica la reazione vaticana assume anche una implicazione politica e quindi non solo dottrinale, perchè attacca, con le minacce di scomunica, lo stesso stato cinese. Ciò non può non implicare un raffreddamento dei rapporti diplomatici in una fase storica dove il Vaticano si sta battendo per la libertà religiosa e la Cina cerca in tutti i modi di accreditarsi come potenza mondiale. Ma senza l'imprimatur di Roma, Pechino rischia di avere un problema in più sul piano del mancato rispetto dei diritti individuali. In effetti la reazione cinese, che ha definito la protesta vaticana come oltraggiosa ed irragionevole, rileva uno stato di apprensione sul tema, che non può che fare riflettere sulle difficoltà, sia esterne che interne, che Pechino sta affrontando. Se la nomina di un prelato favorevole può aiutare a smorzare l'opposizione interna, sul piano internazionale ha una risonanza tutt'altro che positiva. La polemica è aggravata dalla sparizione di Thaddeus My Daquin, un vescovo ausiliare di Shanghai, arrestato dalla polizia cinese e del quale si sono perse le tracce. Troppo spesso la chiesa ufficiale pare essersi schierata con con chi richiedeva maggiori garanzie a favore dei diritti, sfuggendo oltre modo al controllo dell'apparato e ciò ha generato la necessità di aumentare l'influenza dell'Associazione Patriottica per incanalare in qualche modo questa protesta. Tuttavia i conti di Pechino potrebbero essersi rivelati sbagliati se l'eco delle proteste vaticane consentirà una maggiore attenzione al problema della libertà religiosa all'interno dello stato cinese.

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