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mercoledì 29 agosto 2012

Assad definisce il conflitto siriano come guerra internazionale

La recente intervista, che il Presidente siriano Assad ha rilasciato alla televisione Al Dunia, conferma che le intenzioni di Damasco non sono affatto quelle di cercare la pace. Del resto la situazione è ormai talmente compromessa, che una soluzione condivisa tra i contendenti appare impossibile, troppi morti e troppe stragi costituiscono un ostacolo insormontabile. Assad definisce la guerra in corso nel suo paese come un conflitto sia regionale che internazionale. Ciò è vero soltanto in parte, giacchè l'affermazione trascura i motivi di politica interna che hanno mosso la ribellione: uno stato fortemente autoritario, senza libertà democratiche, governato da una dinastia che ha sempre risolto i dissidi soffocandoli con il sangue. Tuttavia su queste ragioni si sono innestate motivazioni di ordine internazionale che sarebbe miope non vedere. La posizione strategica del paese, infatti, sta essenzialmente dietro il forte interesse, sia delle potenze occidentali, sia della Russia, che dell'Iran. Il controllo del paese permette un vantaggio strategico essenziale in ottica Israele, potendo esercitare pressioni sul principale alleato americano, condizionando così l'intera politica regionale. Ma anche dal punto di vista religioso, risulta determinante per il continuo confronto tra sciti e sunniti, con questi ultimi impegnati a limitare la crescente voglia di potenza del principale paese scita: l'Iran. Per quest'ultimo, poi, le ragioni sono duplici: sia di politica estera e militare, per mantenere l'unico alleato vicino di una certa importanza, sia religiose perchè permette di mantenere l'avamposto contro l'Arabia Saudita principale nemico religioso. Infine la Russia ha l'unica base navale propria nel Mediterraneo, struttura che difficilmente un nuovo governo potrebbe concedere di mantenere, sia per la storica alleanza con Assad, sia per l'ostruzionismo praticato nella sede del Consiglio di sicurezza dell'ONU. Assad, quindi ha parzialmente ragione, ma dice comunque una affermazione veritiera: il territorio siriano interessa ad altre potenze, che pur non avendo intenzione di esercitare un potere diretto nel paese, vedrebbero di buon occhio un cambio al vertice che comprendesse anche un cambio di indirizzo in politica estera o, al contrario, accentuassero quello attuale. Nell'immediato il presidente siriano individua tre paesi stranieri che sosterrebbero direttamente i ribelli: Arabia Saudita, Qatar e Turchia. Tutti e tre sono però alleati degli Stati Uniti è quindi facile comprendere a chi sia diretta l'accusa proveniente da Damasco, nonostante che Washington abbia, fino ad ora, tenuto un atteggiamento di basso profilo, pur condannando costantemente il regime di Damasco. Assad è convinto della vittoria finale, per la quale però, è necessario maggiore tempo. Questa ammissione manifesta l'incertezza del regime di fronte all'esito finale, sebbene la situazione attuale sia di sostanziale stallo, anche un piccolo intervento esterno a favore dei ribelli potrebbe fare volgere a loro vantaggio il destino della guerra, proprio per questo è essenziale per Assad ristabilire al più presto l'ordine costituito per eliminare la resistenza ed eliminare materialmente i possibili destinatari degli aiuti. Senza una forza autoctona impegnata sul terreno, ogni determinazione diverrebbe inutile. Per fare ciò Assad ha un solo modo: intensificare le violenze e le azioni militari con mezzi convenzionali e no; ma un eventuale uso di armi chimiche farebbe scattare in automatico la rappresaglia occidentale, come più volte minacciato. Restano le armi convenzionali, di cui l'esercito ha una grande disponibilità e la cui intensificazione dell'uso potrebbe essere limitata solo da incursioni aeree. Si ritorna così daccapo: o l'ONU riesce a trovare una risoluzione che passi il Consiglio di sicurezza o si adotta una soluzione analoga la caso libico, praticata cioè soltanto da alcuni paesi, non vi sono altre soluzioni, dato che la via diplomatica è fallita più volte.

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