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martedì 7 agosto 2012

In Africa, crescono i problemi per la Cina

La Cina, che ha fatto dell'espansione economica in Africa un cardine del suo sviluppo industriale per il reperimento delle risorse necessarie alla sua industria, sta incontrando, nel continente nero, grosse difficoltà di relazione con il mondo del lavoro africano. Gli episodi di violenza ai danni dei funzionari cinesi, da parte della manodopera locale, stanno diventando troppo frequenti e segnalano un diffuso stato di malessere. Pechino ha scelto di applicare la stessa metodologia delle condizioni di lavoro che vige in patria: orari massacranti, nessuna tutela, assenza di diritti sindacali e paghe eccessivamente basse. La condizione di necessità delle popolazioni africane, coinvolte fin dall'inizio nei progetti cinesi per il basso costo del lavoro, è stato un fattore calmierante soltanto per i primi tempi, ma l'inasprirsi delle condizioni di lavoro e la mancata applicazione di leggi relative alla regolamentazione della retribuzione più favorevole per i lavoratori, come per esempio accaduto nello Zambia, a generato sentimenti che sfiorano l'aperta ostilità verso la Cina. Del resto, pur con contributi ingenti per gli stati africani, la percezione, che pare comune nei paesi africani, è che Pechino dia meno del dovuto, cioè abbia spuntato contratti nettamente sbilanciati a suo favore, per lo sfruttamento dei giacimenti delle materie prime africane. Questo punto, che riguarda la percezione negativa delle popolazioni locali, è centrale nel sentimento di rivalsa contro Pechino, che viene ormai avvertita come una presenza neocolonialista. Questo fatto potrebbe rappresentare una anticipazione del futuro, che potrebbe verificarsi, seppure in altre forme, anche in paesi non appartenenti ne al terzo e ne al quarto mondo. Sopratutto quello che preoccupa è l'applicazione di un sistema di relazioni industriali totalmente stravolto, dove vige la cancellazione pressochè totale dei diritti sindacali, della sicurezza degli ambienti di lavoro e della tutela stessa dell'occupazione, il tutto, poi aggravato da una necessità endemica della struttura industriale cinese, di avere un costo particolarmente basso del fattore lavoro. Ma quello che accade in Africa è un sintomo che aggiunge profonda instabilità ad un continente in perenne fase di trasformazione, dove le esigenze di modernità, si scontrano con problemi storici non ancora risolti. Passata la fase del post colonialismo, che ha dato vita a numerose guerre, anche su base etnica, il continente africano, seppure con ancora alcuni importanti focolai di guerra presenti, inizia ad avere uno sviluppo dove si segnalano alcune aree con indici di crescita sufficienti a superare lo stato di povertà. Certo questo non vale ancora per le aree rurali, soggette ancora ad una coltivazione che non ha ancora abbandonato i metodi tradizionali, troppo soggetti alla metereologia; ma per le aree urbane cresciute a ridosso dei grandi giacimenti di materie prime, insieme con la crescita economica si è venuta a formare una coscienza dei diritti, supportata anche dallo sviluppo delle comunicazioni. L'approccio di Pechino è stato quello di non comprendere la maturazione dei lavoratori africani, trattandoli ad un livello di poco superiore della schiavitù dei secoli passati ed anzi, in alcuni casi in maniera coincidente. Del resto per cambiare questo atteggiamento non bastano gli ingenti stanziamenti sotto forma di prestito, che la Cina elargisce in modo interessato agli stati africani, l'orgoglio di chi credeva essersi affrancato da una sottomissione non ne ammette una nuova. L'atteggiamento cinese è di autoassoluzione, fedeli alla linea tenuta in politica estera, i cinesi inviati a dirigere i lavoratori africani affermano di essere sul suolo del continente nero soltanto per lavorare, senza immischiarsi nei casi di politica interna, classificando, così, gli atti di violenza a loro danno, soltanto come problemi legati a condizioni sindacali di cui non sarebbero responsabili. In realtà così non è, i contenziosi per gli orari ed i salari con la dirigenza degli impianti cinesi, che spesso non tengono conto proprio delle direttive degli stati dove sono localizzati gli impianti, testimoniano come quella cinese sia una volontà precisamente perseguita. Il problema, poi in ottica mondiale, è ancora più ampio, perchè fa parte di quella valutazione sulla concorrenza che Pechino ha stravolto, imponendo costi del lavoro troppo bassi per i suoi prodotti e l'assenza di regole che condizionano il mercato produttivo occidentale. Ciò ha determinato, si tratta di storia nota, un progressivo abbassamento delle condizioni del lavoro salariato a livello mondiale. Ecco perchè l'occidente deve prestare attenzione a quello che succede nei rapporti tra Cina ed Africa: è necessario che i paesi occidentali si inseriscano nei rapporti produttivi con i paesi africani, portando regole certe, salari adeguati e giusta remunerazione per gli stati di cui si sfruttano le risorse, per bloccare l'avanzata cinese che sta conducendo il mondo verso una deregolamentazione selvaggia del lavoro. L'Africa deve essere un punto di partenza per rovesciare questa tendenza ed affermare i diritti, ma ciò deve essere perseguito dagli stati, perchè anche le aziende occidentali guardano sempre con maggiore interesse ai metodi cinesi.

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