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giovedì 2 agosto 2012

La CIA affianca i ribelli siriani

La notizia che il Presidente USA, Barack Obama, avrebbe firmato già dall'inizio dell'anno un ordine, che autorizza la CIA ha compiere operazioni segrete, contro il regime siriano di Assad, non risulta essere sorprendente. L'azione è simile a quella condotta contro Gheddafi e prevede il sostegno militare mediante operazioni dietro le linee e la fornitura di armi ai ribelli impegnati nella lotta armata, ormai degenerata a guerra civile. La scelta della Casa Bianca è maturata da subito quando si è intravista la possibilità di determinare la caduta del regime per sottrarre all'Iran l'alleato più importante in chiave anti israeliana. La notizia non è stata chiaramente confermata dall'amministrazione americana, che continua a sostenere di fornire esclusivamente aiuti umanitari alla popolazione, contro un regime che continua a violare sistematicamente i diritti umani. L'opposizione è sostenuta materialmente, attraverso il Dipartimento di Stato, con un fondo di 25 milioni di dollari, destinati all'acquisto di materiale, tuttavia esiste anche uno stanziamento di 64 milioni di dollari per l'assistenza da erogare attraverso l'ONU ed altre organizzazioni umanitarie, mentre già prima gli USA avevano impegnato 15 milioni di dollari per materiale medico ed attrezzature per le comunicazioni. Ma il livello degli aiuti, ufficialmente è stato sempre circoscritto alla pura fornitura di attrezzatura per alleviare la popolazione civile. Ma i sospetti che ciò non fosse del tutto vero, sono scattati fin da quando è stata accertata la partecipazione di miliziani, più verosimilmente militari, iraniani, impegnati direttamente fin dalle prime fasi delle proteste, nella repressione diretta dei manifestanti. L'impegno diretto degli Stati Uniti potrebbe essere una causa che ha bloccato la volontà israeliana di attaccare Teheran. Washington, con l'impegno diretto sul campo, potrebbe avere dimostrato a Tel Aviv l'effettiva volontà di impedire all'Iran di avvicinarsi troppo, attraverso il territorio siriano a quello israeliano, peraltro uno dei motivi che preoccupano di più il governo di Netanyahu della possibile evoluzione della crisi siriana. Gli USA stanno probabilmente agendo con l'appoggio delle potenze arabe sunnite, Arabia Saudita e Qatar, prime fra tutte, tradizionali alleati degli americani, impegnato sin dall'inizio del conflitto, sicuramente nella fornitura di armi alle forze in lotta contro il regime. Anche per questi paesi la conquista della nazione siriana, attraverso un governo amico, è diventato un obbligo in chiave anti iraniana, ma anche in ottica anti scita. Le minacce di Teheran, più o meno velate, alle potenze di matrice sunnita, tra cui quella di chiudere lo stretto di Hormuz, strangolando l'economia petrolifera, di questi paesi, hanno determinato l'evoluzione di un sentimento anti iraniano, già abbondantemente presente. Anche perchè Teheran a cercato più volte di sobillare le varie minoranze sciite presenti. Per gli USA diventa quindi centrale la caduta del governo di Assad, che significa stringere l'Iran nell'angolo e rovesciare i rapporti di forza nel paese siriano, che poteva costituire la piattaforma per i missili degli ayatollah. A questo punto occorre valutare la reazione che la Russia vorrà opporre ad una situazione, che peraltro sarà stata ben conosciuta al Cremlino. Tuttavia la situazione pare ormai irreversibile, è opinione crescente che la caduta di Assad sia ormai un dato di fatto, il problema, semmai, è sulla tempistica di questa sconfitta, che se non avverrà a breve rischia di lasciare il paese nel disastro più assoluto. Sul futuro è poi difficile ipotizzare uno scenario certo, anche se l'impegno americano sul campo, presuppone l'instaurazione di un governo democraticamente eletto vicino, se non proprio a Washington, almeno ai suoi alleati sunniti. Si verrebbe così a concretizzarsi l'effettivo controllo di un territorio ritenuto strategico per evitare il conflitto tra Israele ed Iran, che preoccupa tutti i governi della regione, attraverso un costante controllo sullo stato iraniano, esplicato anche con una pressione militare direttamente alla frontiera con Teheran.

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