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giovedì 13 settembre 2012

Gli attacchi alle ambasciate USA rientrano in un piano più ampio?

Le vicende che hanno coinvolto, in modo tragico gli USA, in Libia d in Egitto, aprono prospettive inquietanti sugli equilibri della sponda sud del Mediterraneo. Aldilà dell'opportunità di fare e trasmettere un film che andava ad offendere in modo inequivocabile la sensibilità, sempre più crescente, delle popolazioni arabe, che si sono espresse in maniera compatta per partiti vicino all'islamismo, esprimendo, quindi una determinata scelta sopratutto di vita, occorre considerare quelli che sono stati presentati, inizialmente come aspetti accessori della vicenda, ma che, invece, ne costituiscono gli elementi scatenanti. Fatta salva la stupidità del reverendo che brucia i corani per inutile istigazione, ma che potrebbe avere un ruolo di provocazione nell'ambito di un disegno con chiare finalità nella contesa presidenziale, tutto a favore dello sfidante repubblicano, occorre analizzare, a fronte dei risultati drammatici, la scarsa preparazione politica dell'amministrazione americana, in teatri che non hanno seguito l'evoluzione attesa a seguito delle primavere arabe. E' risultato evidente che l'appoggio fornito nelle ribellioni contro Gheddafi e Mubarak, non ha permesso agli USA di accreditarsi in modo sufficiente ne presso i governi in carica ne presso la popolazione. Washington è ancora vista come la potenza imperialista nemica dell'Islam, malgrado gli sforzi e gli aiuti concessi. Ma oltre questa condizione negativa, non vi è stata la percezione della capacità dei gruppi terroristici, tra i quali sicuramente Al Qaeda, di tramare nell'ombra in virtù di un mimetismo sicuramente concesso da parte della società civile. E' triste affermare che in questo momento gli USA sono più vulnerabili, sia in Libia che in Egitto, rispetto a quando al comando delle due nazioni vi erano i dittatori deposti. Per riflesso questa condizione si pone anche sugli alleati americani, che sono dall'altra parte del mare Mediterraneo e non è un caso che il fenomeno dei clandestini sia ripreso in questi giorni in dosi massicce, vera e propria pratica id pressione e di ricatto già usata dai governanti deposti. Quello che si pone è un problema di relazioni internazionali tra due mondi, che sembrano ormai inconciliabili e che, però, sono divisi da un tratto di mare neanche troppo ampio. L'estremismo islamico, cui dietro è impossibile non vedere la mano iraniana, pare avere gioco troppo facile nel riscaldare gli animi e gli stessi governanti al potere adottano una tattica ambigua, che non fa che innalzare ulteriormente la temperatura delle relazioni diplomatiche. Questi fatti avvengono in un momento troppo delicato per la pace mondiale, la questione iraniana e quella israeliana sono costantemente vicino al punto di rottura e le imminenti elezioni statunitensi non possono che obbligare Obama ad una risposta, che, seppure concordata con il governo libico, autorizzerà gli estremisti più radicali a farla leggere al resto del popolo come una invasione. Del resto Obama era proprio ciò che temeva di più e ragion per cui aveva tenuto un atteggiamento di basso profilo durante le primavere arabe. Alla fine è fin troppo facile sospettare di potenze straniere dietro questi fatti, quale migliore occasione per mettere in difficoltà un Presidente che ha cercato di risolvere i problemi con il dialogo; si prenda la questione iraniana, con l'annesso corollario israeliano, a nessuno dei due piace l'atteggiamento di Obama perchè gli costringe ad una inazione snervante, in questo caso un presidente USA, comunque volente o nolente fulcro delle trattative, messo alle strette, può convenire ad entrambi per avere le mani più libere. Mai come in questo momento ad Obama occorrono nervi d'acciaio e lungimiranza estrema, anche nel poco tempo che ha a disposzione.

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