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giovedì 20 settembre 2012

La Turchia torna sulla questione del suo ingresso nella UE

La dichiarazione del ministro dell'economia della Turchia, Zafer Caglayan, è destinata a sollevare intense polemiche ed a riaprire un dibattito che pareva chiuso. Secondo il parere di Caglayan, in virtù degli ottimi risultati dell'economia turca, che ha registrato una crescita dell'8,5%, ottenuti grazie ad una politica economica espansiva incentrata sulla produzione di beni ed orientata a forti esportazioni verso i mercati orientali immediatemente vicini, sarà la stessa UE, in grave difficoltà economica, ad implorare l'ingresso della Turchia al suo interno. Secondo i calcoli del ministro economico turco, con la Turchia all'interno della UE, il PIL di Bruxelles sarebbe cresciuto dell'1,8%, malgrado le difficoltà di Grecia e Spagna. Molto dure le critiche verso gli organismi di controllo comunitari, che non hanno impedito i disastri economici della Grecia. Ma queste considerazioni, che si possono senz'altro condividere, appaiono strumentali: l'atmosfera tra Ankara ed Atene è da sempre molto tesa e la Turchia individua proprio nell'atteggiamento della Grecia uno dei maggiori ostacoli per il suo ingresso in Europa. Inoltre imputare l'esclusione turca alla volontà di fare della UE un club cristiano, oltre che avventato appare in questo momento poco responsabile. Tuttavia se la questione dell'entrata delle Turchia in Europa minaccia di riaprirsi in maniera anche molto aspra, occorre fare delle considerazioni sul perchè il governo di Ankara ha scelto proprio questo periodo per riaprire la questione. Un motivo è senz'altro di ordine economico, i mercati che hanno permesso alla Turchia il livello di sviluppo attuale non sarebbero più sufficienti per sostenere il tasso crescita; l'Ankara ha bisogno di entrare nel mercato più pregiato del mondo dalla porta principale, garantendosi così i vantaggi di cui altri paesi emergenti non potranno mai godere. Si aprirebbe, così, una sorta di binario preferenziale per le merci turche all'interno del vecchio continente, non paragonabile alle condizioni dei prodotti provenienti da paesi direttamente concorrenti. In questo caso la crescita della Turchia potrebbe registrare addirittura valori a cifra doppia e questo non malgrado, ma grazie al periodo di crisi che sta attraversando l'Unione Europea. La Turchia vorrebbe sfruttare proprio la fase attuale di difficoltà delle industrie continentali per ritagliarsi un proprio spazio, prima di una possibile ripartenza dell'economia della UE. Ma le condizioni che hanno determinato la bocciatura dell'ingresso nella UE non sono variate: la questione curda e quella dei diritti incompleti restano drammaticamente in piedi, l'islamizzazione, anche se non troppo estremizzata ma in progressiva crescita della società civile, favorita dalle politiche non certo laiche del governo al potere, restano una causa ostativa non indifferente ed anzi, se possibile aumentata, per la crescente diffidenza degli strati sociali europei verso l'affermazione in politica di un islamismo sempre più accentuato. E' vero che le garanzie di democrazia, sebbene ancora incomplete, della Turchia non ne consentono il paragone con l'Egitto, la Tunisia, o peggio, la Libia attuali, tuttavia una libera circolazione di un così grande numero di persone di religione islamica equiparate in tutto e per tutto alla attuale popolazione europea rappresenta un ostacolo ancora insormontabile. Per riuscire ad entrare in Europa sarebbe necessario un processo di maggiore laicità nella società turca, mentre quello che si verifica è il netto contrario. Non è questo un giudizio di merito ed ancor meno un suggerimento, è solo la constatazione effettiva di quelle che dovrebbero essere le condizioni che potrebbero favorire l'ammissione della Turchia nella UE. L'atteggiamento di Ankara, peraltro, non è certo di rassegnazione, la Turchia considera un suo diritto peculiare, il suo ingresso nella UE, ma nello stesso tempo, oltre alle argomentazioni di carattere economico, attualmente, non può presentare altre condizioni che possano favorirne il processo di integrazione europea.

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