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martedì 11 dicembre 2012

La condizione femminile egiziana esempio di mancata democrazia

Uno dei problemi non abbastanza rilevati della questione sulla nuova costituzione egiziana è rappresentato dal problema femminile. Con la vittoria elettorale delle forze musulmane, le aspettative delle donne egiziane sono rimaste frustrate dalla direzione confessionale presa dalla politica egiziana. Pur non essendo ancora in vigore la carta fondamentale, che tanti scontri ha provocato, la condizione femminile in Egitto pare peggiorata rispetto alla dittatura di Mubarak, alle donne è stato, infatti, riservato un ruolo di subordinazione nella società, con limitazioni evidenti, che avranno carattere di legge una volta approvata la tanto contestata carta costituzionale. La presenza all'articolo due, della costituzione che si vuole approvare, di un chiaro riferimento alla legge coranica, la sharia, come base della legislazione, confina la donna a spazi ristretti, sia nella vita pubblica, che in quella familiare, limitandone di fatto la libertà. Il fenomeno è un indice chiaro del modo distorto in cui si è evoluta la protesta egiziana, che ha regalato, forse anche inconsapevolmente, il potere a gruppi di fondamentalisti, che rappresentano il dieci per cento del paese, malgrado abbiano raccolto nella consultazione elettorale la maggioranza. Ma per l'importanza e l'influenza del paese egiziano nella fascia costiera meridionale del Mediterraneo e nel mondo arabo in generale, il fenomeno rischia di diventare un pericoloso precedente, che, da un lato, potrebbe impedire l'evoluzione della condizione femminile e dall'altro creare fenomeni di emulazione in altri parlamenti. Vista da occidente la situazione diventa sempre più la conferma di quanto siano distante le valutazioni intorno alla democrazia, dei due punti di vista, talmente lontani da apparire inconciliabili. Quello che stanno esprimendo le primavere arabe, va sempre più spesso lontano dalla concezione di democrazia che si ha nella visione occidentale: il mancato rispetto dei diritti e della parità tra i sessi, rappresenta però l'esempio più eclatante. Il fatto che la condizione della donna sia addirittura peggiorata, non solo in Egitto, ma anche, per esempio in Iraq, inquadra bene il fatto che le democrazie islamiche non siano compiute e che non basta una vittoria elettorale per fare di un paese una democrazia. Non che non ci siano forme di opposizione a queste politiche discriminatorie, ma quello che è evidente è che l'indirizzo religioso avvalla questo comportamento; è questo, sostanzialmente, il punto di frattura che delegittima l'islam di matrice politica come forza democratica. Le promesse di islam moderato cadono quando si arriva alla questione della parità dei sessi, non superare questo scoglio significa aprire ad una serie di restrizioni ancora più ampie che rendono inconciliabile l'indirizzo confessionale con l'esercizio delle regole democratiche. In questo contesto il futuro della condizione femminile appare problematico e bene fanno coloro che si battono affinchè la costituzione egiziana non passi, del resto il comportamento del presidente Mursi è stato eloquente: la risoluzione dei conflitti con le opposizioni è passata attraverso un quasi colpo di stato. Un altro chiaro segnale della poca propensione alla democrazie dei partiti al governo in Egitto. Tutto ciò rende facile pronosticare una evoluzione difficile dei rapporti tra gli stati occidentali e gli stati arabi, sempre più divisi e distanti, non solo politicamente ma sopratutto culturalmente.

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