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martedì 4 dicembre 2012

La NATO schiera i Patriot al confine tra Turchia e Siria

La pressione della Turchia sulla NATO, nonostante l'incontro con la Russia, ha dato il via libera da parte dell'Alleanza Atlantica alla dislocazione dei missili Patriot sul territorio di Ankara, per proteggere il paese da eventuali attacchi siriani. Il territorio turco era già stato colpito dall'artiglieria siriana in almeno due occasioni e la NATO si era riunita d'urgenza, come previsto dal protocollo in caso di aggressione di un proprio membro. La possibile evoluzione del conflitto siriano, che secondo fonti di intelligence, potrebbe vedere impiegate le tanto temute armi chimiche, da parte dell'esercito di Assad, ha costretto la NATO a compiere un passo praticamente obbligato, ma che è destinato a provocare delle reazioni nel mondo diplomatico. Infatti, nonostante le smentite del quartier generale di Bruxelles, che prevedono un impiego puramente difensivo dei missili Patriot, non è difficile prevedere che questa misura sarà interpretata come il primo passo per un intervento esterno nella guerra in corso in Siria. Le prime reazioni negative sono venute proprio da Mosca, che vede nel dispiegamento dei missili NATO, un elemento potenzialmente capace di generare ulteriore tensione in un'area già particolarmente provata, rischiando di innescare un conflitto anzichè evitarlo. Le ragioni della Russia sono comprensibili, se guardate alla luce degli interessi del Cremlino, ma allo stato delle cose, Mosca, all'interno delle grandi potenze, pare ormai essere rimasta sola ad opporre una resistenza più solida alle iniziative della NATO. In questa ottica il silenzio cinese pare abbastanza eloquente, il che non significa che Pechino potrebbe approvare un attacco della NATO, sopratutto in sede di Consiglio di sicurezza dell'ONU, tuttavia sembra evidente che l'atteggiamento generale del panorama internazionale, con le ovvie eccezioni di alcuni paesi musulmani, primo fra tutti l'Iran, dovrebbe essere oramai orientato a dare una svolta decisiva ad un conflitto sempre più pericoloso in un'area fortemente instabile. Con questa lettura, che si fonda soltanto su di una interpretazione della successione dei fatti, l'esclusiva ragione difensiva dello schieramento dei Patriot è fortemente in discussione. Del resto vi è anche una serie di fatti che sembrano andare in questa direzione: la Turchia, prima di tutto, non gradisce una guerra ai suoi confini, per i problemi dei profughi e delle implicazioni della vicenda curda, fin dai primi momenti del conflitto l'atteggiamento turco è stato sfavorevole per Damasco, su queste perplessità si innesta la volontà americana di disinnescare la possibilità di un pericoloso allargamento del conflitto, che potrebbe riguardare Israele. Inoltre i regni sunniti del golfo Persico, che si sono impegnati da subito nel sostegno dei ribelli, premono per evitare che Teheran riesca ad aumentare la sua influenza nell'area. Vi è anche un'altro elemento che potrebbe avere accelerato lo schieramento dei missili sul suolo turco: malgrado la stasi sostanziale del conflitto, la forza dei ribelli pare attenuarsi negli ultimi giorni ed il pericolo di una ripresa delle forze governative è reale, ed è questo anche uno dei motivi che avrebbe indotto Assad ad usare l'arsenale chimico, per dare una soluzione a lui favorevole più veloce. Quindi per la NATO ci sarebbe il motivo per una rappresaglia ed un intervento diretto sul territorio siriano. Dal punto di vista strategico, quindi, i Patriot lanciati da basi contigue alla Siria, potrebbero ottenere un effetto maggiore e dare una svolta al conflitto. Resta da vedere quale sarà l'atteggiamento di Assad, che se ha già colpito la Turchia, apparentemente senza motivo, potrebbe reagire all'eventuale lancio di missili con una risposta particolarmente violenta. Questo elemento è quello che dovrebbe frenare maggiormente una azione preventiva con partenza dalla Turchia, ma la situazione è in continua evoluzione e non è da escludere che altri elementi di valutazione potranno aggiungersi alle decisioni prese sia sul campo che sul terreno diplomatico.

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