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giovedì 24 gennaio 2013

Israele: il nuovo scenario dopo il voto

La maggiore conseguenza della vittoria insufficiente di Benjamin Netanyahu e quindi del risultato elettorale israeliano è lo spostamento dal centro di quella che sarà l'azione politica del prossimo governo israeliano della questione internazionale verso una maggiore concentrazione sui problemi interni del paese, sopratutto di natura economica. L'accresciuto numero di votanti, fenomeno non atteso in queste dimensioni, che ha sostanzialmente determinato lo spostamento della centralità dei temi sui quali viene richiesta maggiore attenzione ha determinato nuovi equilibri all'interno del parlamento del paese. Benjamin Netanyahu, quale leader del partito che ha ottenuto il maggior numero di voti, sarà ancora il primo ministro di Israele, ma la sua forza politica non sarà la stessa ed i suoi obiettivi dovranno cambiare se vorrà assicurare stabilità alla compagine governativa ed al paese. Yair Lapid, il vero vincitore di questa tornata elettorale, a capo di una formazione di centro che si chiama "C'è un futuro" ha assicurato il suo appoggio al premier uscente per la formazione della nuova coalizione di governo, a patto, appunto, che il nuovo esecutivo si occupi della deriva della classe media, colpita dalla crisi economica, e dia un maggiore impegno sui temi sociali. Nel suo discorso, tenuto dopo la proclamazione dei risultati, Netanyahu ha dato poco spazio ai problemi con i palestinesi, lasciando spazio soltanto alla questione della bomba iraniana, che vede però Lapid contrario a qualsiasi azione unilaterale, ma la maggiore rilevanza è stata per i tre cambiamenti sostanziali, che intende fare in politica interna: il cambiamento dei metodi di governo, una maggiore eguaglianza ed una politica degli alloggi a prezzi più accessibili; questi argomenti ricalcano i punti principali del programma proposto da Lapid, che, a dire il vero, comprendeva anche la leva obbligatoria per i giovani religiosi ultra ortodossi, tenuti finora al riparo dalle formazioni di estrema destra presenti nei governi precedenti. Il risultato del voto, al fine delle alchimie della composizione del governo, ha determinato una situazione in cui non si può governare senza Netanyahu, ma neppure senza Lapid, ed è più il primo che ha bisogno del secondo, come ha già evidenziato la necessità di porre al centro le questioni interne. Il calendario politico dice, che dopo la pubblicazione ufficiale dei risultati, il capo dello stato Shimon Peres, avrà sette giorni per designare colui il quale dovrà cercare la maggioranza per la formazione del governo, verosimilmente Netanyahu, che, a sua volta, dovrà formare il governo entro quattordici giorni. Data la grave immagine internazionale di Israele, una delle possibilità è che proprio Lapid vada a sedere sulla scomoda poltrona di ministro degli esteri, anche se non pare sufficiente un volto telegenico per fare riacquistare credibilità ad un paese che ha ora necessità di compiere degli atti verso cui si è mostrato sempre restio. Israele può uscire dall'isolamento in cui si è andato a cacciare soltanto se intraprende un reale e sopratutto leale percorso di pacificazione con i palestinesi, il cui risultato finale deve essere l'accettazione ed il riconoscimento dello stato palestinese. Ma la presenza probabile di Netanyahu ancora al posto di primo ministro rende scettici gli ambienti palestinesi, anche se l'Organizzazione per la Liberazione della Palestina ha dichiarato di essere pronta a lavorare con qualsiasi governo israeliano che riconosca lo Stato della Palestina. Ed in effetti sarebbe questo il primo passo atteso dalla platea del teatro internazionale da parte del nuovo governo di Israele, in modo da fare ripartire in modo concreto e, possibilmente, definitivo l'annoso e problematico processo di pace.

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