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venerdì 25 gennaio 2013

La Corea del Nord minaccia gli USA

Dopo il lancio del missile a lungo raggio, il dodici dicembre scorso, presentato come semplice vettore per la messa in orbita di un satellite, la Corea del Nord sale di nuovo alla ribalta delle cronache mondiali. La decisione del Consiglio di sicurezza delle nazioni Unite di applicare nuove sanzioni contro Pyongyang, proprio per il lancio del razzo, ha scatenato la reazione nordcoreana, che ha percepito come un sopruso il provvedimento partito dal Palazzo di vetro. Nel mirino sono entrati gli Stati Uniti e la Corea del Sud, accusati espressamente di essere gli istigatori dell'ostilità dell'ONU. La Corea del Nord ha dichiarato che non parteciperà più ad alcuna discussione con i sudcoreani sul tema della denuclearizzazione della penisola e che intende rispondere con pesanti ritorsioni contro Washington e Seul. Inoltre, come ulteriore reazione alla risoluzione del Consiglio di sicurezza Pyongyang ha annunciato che eseguirà un nuovo test nucleare, che costituirebbe la terza prova, dopo quelle del 2006 e del 2009. Il fatto più grave resta la minaccia esplicita contro gli Stati Uniti, che diventano un obiettivo dichiarato dei missili a lungo raggio nordcoreani. La decisione del Consiglio di sicurezza è stata approvata anche dalla Cina, l'unico alleato del regime al governo nella Corea del Nord, e ciò rappresenta l'espressione della volontà di Pechino di non avere alle sue frontiere un paese confinante, che, seppure alleato, possa disporre di un armamento nucleare o soltanto in grado di potere avere nel suo arsenale missili a lungo raggio. Dietro ai timori cinesi vi è, sia la chiara inaffidabilità di Pyongyang, che si ostina a mantenere un atteggiamento ondivago, sia il completo interesse a mantenere lontano dalla regione la marina militare americana, che già in altre simili occasioni si è avvicinata minacciosamente alla Corea del Nord, dietro richiesta di Seul e Tokyo. In questa ottica si inquadrano le dichiarazioni ufficiali di Pechino, che è intervenuta nel dibattito chiedendo calma e moderazione tra le parti coinvolte per evitare una pericolosa degenerazione della situazione. La Cina ha ribadito la sua opposizione all'incremento del nucleare nella penisola e si è, anzi, detta favorevole al processo inverso che ha l'obiettivo di rendere denuclearizzato il territorio delle due Coree. Anche gli Stati Uniti, pur oggetto delle minacce, hanno mantenuto un basso profilo, invitando il regime di Kim Jong-un ad ascoltare gli inviti della comunità internazionale. Tuttavia Pyongyang è rimasta ferma nel suo atteggiamento di rifiuto di ogni confronto internazionale futuro sul tema della denuclearizzazione, scartata anche la ripetizione del già avvenuto incontro a sei con la partecipazione delle due Coree, degli USA, della Cina, di Giappone e di Russia, tenutosi nel 2009, che doveva arrivare ad un accordo sulla fornitura di aiuti economici, tecnologici, umanitari e la promozione di un maggiore coinvolgimento del paese più isolato del mondo nella comunità internazionale in cambio della rinuncia al programma nucleare. Il fallimento di quella trattativa diede corso al test del 2009, che avrebbe portato lo sviluppo tecnologico nordcoreano ad un livello tale da consentire la produzione attuale di circa 40 chilogrammi di uranio altamente arricchito, anche se ciò non dovrebbe essere ancora sufficiente per completare una testata balistica a lungo raggio. Resta da capire con quali scopi, un paese ridotto allo stremo, con problemi di approvigionamento alimentare tali da precludere le normali condizioni di vita per il suo popolo, continui nella sua politica di auto esclusione dal consesso mondiale. Alla Corea del Nord non si può imputare altro, se non la incapacità endemica ad uscire dal proprio stato di crisi. Risulta evidente che in caso di un malaugurato conflitto, l'esercito nord coreano potrebbe opporre ben poca resistenza e che le provocazioni di questi giorni, pur da non sottovalutare, possono essere scongiurate dai sistemi di difesa americani. Più in pericolo può essere la Corea del Sud, ma gli alleati americani assicurano una copertura sufficiente per fornire contromisure efficaci. Forse il governo a capo del paese non riesce a chiedere aiuti in altro modo se non con minacce, che sortiscono soltanto una allerta particolare, nel quadro di una regione già sottoposta a forti tensioni. L'unico attore che può intervenire in maniera sostanziale è la Cina, che finora si è contraddistinta per un attendismo esagerato, ma che con l'appoggio alla decisione del Consiglio di sicurezza, pare avere imboccato una strada più definita.

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