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venerdì 8 febbraio 2013

Le primavere arabe si ripeteranno?

Lo schema delle primavere arabe mostra tutti i suoi limiti. La presenza di un dittatore, con poteri immensi, era la prima costante, in tutti i casi verificati ed anche in quello siriano la situazione è analoga; la seconda costante era che non esisteva una forza unica alternativa, capace di rovesciare il potere, era necessaria l'unione di più forze, che, tuttavia, prese singolarmente, erano addirittura opposte tra di loro. Il legame che manteneva uniti i movimenti che formavano la ribellione era unicamente, l'intenzione di rovesciare la dittatura. Il carattere di urgenza di popoli esasperati e spesso alla fame non ha permesso la necessaria elaborazione di un piano organico, sopratutto fondato su aspetti legali condivisi e fondanti, che sapesse prevenire una caduta generalizzata, in alcuni casi, ancora peggiore dell'oppressione da cui le nazioni arabe si erano liberate. Si è arrivati così ad un risultato che accomuna i destini di tutti i paesi in cui le primavere arabe hanno fatto il loro corso. Dai risultati elettorali è uscita, in modo omogeneo, la vittoria dei partiti confessionali, spesso espressione di un islam tutt'altro che moderato, incapace di conciliare la vittoria delle urne con i diritti delle minoranze politiche. La prevaricazione dei vincitori, giustificata con leggi costituzionali elaborate a loro consumo ed ispirate alla legge islamica, ha portato alla naturale reazione di quei movimenti che si erano impegnati per una rinascita politica, attraverso l'applicazione dei diritti civili prima soppressi, poi di nuovo soffocati da provvedimenti liberticidi, questa volta elaborati su base religiosa anzichè politica. Era impensabile che persone impegnate direttamente nelle piazze avessero interrotto la loro azione solo per la caduta di un regime sostituito da un'altra forma illiberale; il processo era ormai avviato ed era inarrestabile. Piuttosto resta l'errore di fondo che accomuna i partiti confessionali al potere nei paesi arabi, l'assoluta mancanza della capacità di elaborare un comportamento alternativo all'assolutismo religioso. Se poi si aggiunge che la situazione economica, che occorre ricordarlo molto bene, ha costituito la scintilla che ha provocato la deflagrazione delle ribellioni, non è cambiata con l'avvento dei governi eletti, ecco che il mix di cause si ripresenta tale e quale come si è presentato con le dittature al potere. Del resto anche i regimi dittatoriali all'inizio avevano i loro sostenitori che si battevano, anche fisicamente, contro gli oppositori; ora sono cambiati gli schieramenti, da una parte i sostenitori dei partiti vincenti dalle urne, connotati da un islamismo radicale, sono fortemente motivati dall'investitura che, credono provenga da Dio, anzichè dal popolo, ma che non sono che una piccola parte della società e non rappresentano in alcun modo la totalità di quelle persone che pure hanno contribuito a renderli vittoriosi, dall'altra parte i cosidetti laici, perchè non si riconoscono in partiti a regime confessionale, ma che speravano in una forma di governo, che aderisse alle regole democratiche classiche. Il confronto, pur essendo in corso da tempo, entra in una fase delicata, perchè ormai riguarda Tunisia, Libia ed Egitto, tra i paesi che sono riusciti a costruire un evento elettorale, e Siria dove la guerra civile rischia di trasformarsi direttamente da battaglia contro Assad a conflitto tra estremisti religiosi e movimenti partitici democratici. L'occidente, affascinato dalle rivoluzioni contro le dittature, non ha saputo, al momento giusto, elaborare un piano di aiuto concreto per sostenere l'affermazione della democrazia compiuta e non soltanto il verificarsi di un mero atto dell'esercizio del diritto di voto, a cui è mancato tutto il relativo seguito. I paesi arabi sono così daccapo, senza avere una parvenza di via di uscita da una impasse difficilmente risolvibile, dove l'ipotesi più verosimile è una ripetizione del corollario di violenze, questa volta perpetrato dai nuovi governi, i quali, detto per inciso, usano le identiche giustificazioni delle repressioni di chi li ha preceduti, rischiando di fare altrettanto identica fine.

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