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lunedì 18 febbraio 2013

L'Egitto distrugge i tunnel di Hamas

La politica inaugurata dal governo egiziano, del Presidente Mursi, di distruggere i tunnel sotterranei che comunicano con Gaza, pare muoversi in netta controtendenza, rispetto alle attese degli abitanti della Striscia ed ai pronostici degli osservatori internazionali, che prevedevano una politica preferenziale del paese egiziano verso Hamas. L'ascesa al potere dei partiti islamisti a Il Cairo, pareva indirizzarsi, seppure tra molti equilibrismi, in una direzione nettamente favorevole alla popolazione palestinese, suscitando la preoccupazione israeliana ed americana. In questo scenario l'apertura del valico, in superficie, di Rafah aveva già allarmato le forze armate di Israele per i possibili passaggi di armi. Parallelamente, però, il canale principale di comunicazione e, sopratutto, di passaggio delle merci, erano state le centinaia di tunnel, scavate con relativa facilità in un suolo particolarmente adatto allo scopo, presenti nel sottosuolo al confine tra Egitto e Striscia di Gaza. Costruiti durante il regime di Mubarak, i tunnel hanno permesso di aggirare il rigido embargo israeliano, che riguardava anche generi alimentari e medicinali, oltre ad altre svariate specie di materiali, tra cui quelli da costruzione e carburanti a prezzo decisamente minore da quello imposto da Tel Aviv. Si stima che le merci che giungevano dai tunnel rappresentassero circa un terzo del fabbisogno totale delgi abitanti della Striscia di Gaza. Chiaramente la natura del traffico di queste merci non era legale, trattandosi della violazione dell'embargo israeliano, si poteva inquadrare il fenomeno come una forma necessaria di contrabbando, conveniente, però a quasi tutti gli attori coinvolti nello scenario. I mercanti egiziani e palestinesi davano incremento ai loro guadagni, per le guardie di frontiera dell'Egitto era una fonte alternativa di guadagno e per Hamas una entrata fiscale vera e propria, in quanto le merci che attraversavano il sottosuolo erano soggette ad un regime di tassazione. Negli ultimi giorni, però, l'attività dei tunnel è stata fortemente compromessa dall'azione dell'esercito egiziano che ha provveduto a piazzare cariche di esplosivo, che ne hanno provocato il parziale crollo, assieme alla pratica di inondare le vie sotterranee, di fatto diminuendone la capacità del transito delle merci. La situazione economica di Gaza, già molto difficoltosa a causa di una disoccupazione che si aggira intorno al 50%, ha subito così un contraccolpo importante, che non poteva non essere stato valutato dal governo egiziano. Tali misure mettono in chiara difficoltà Hamas, che è al governo nella Striscia, e che aveva speso parole di elogio e di speranza per l'elezione di Mursi. Il Presidente egiziano, con questa mossa, pare, invece, avere sacrificato la parte più estremista, ma più affine al suo partito, del movimento per la liberazione della Palestina: Hamas. Le ragioni non paiono essere ben chiare, una motivazione potrebbe essere la pressione USA, dietro sollecitazione israeliana, di chiudere una via che possa permettere un passaggio di armi; in questo momento Tel Aviv è impegnata sul confine settentrionale a controllare la minaccia proveniente dalla dissoluzione siriana ed un eventuale risveglio militare di Hamas potrebbe creare problemi all'esercito per uno schieramento massiccio su due fronti contemporaneamente. I militari egiziani intendono mantenere buoni rapporti con gli USA e questo elemento potrebbe favorire la disponibilità con la quale si sono prestati al sabotaggio dei tunnel. Tuttavia, se queste ipotesi possono ritenersi concrete e verosimili, è altrettanto credibile che il presidente egiziano voglia accreditarsi sotto una luce particolarmente positiva alle potenze occidentali e filoisraeliane per distogliere l'attenzione dalla situazione interna del paese. Le feroci repressioni dell'opposizione, a causa dell'approvazione di una carta costituzionale fortemente sbilanciata verso posizioni di radicalismo islamico, hanno provocato parecchi dubbi sulla legittimità e l'affidabilità del nuovo governo dell'Egitto, peraltro democraticamente eletto. L'evoluzione politica interna del paese, ritenuto molto importante dalle cancellerie occidentali per l'equilibrio regionale, ha suscitato negli ambienti governativi de Il Cairo, un timore assoluto di essere relegato in un pericoloso isolamento dai paesi dell'occidente, condizione che aggraverebbe un tessuto economico già molto compromesso e che, è bene ricordarlo, è stato la causa scatenante della ribellione contro Mubarak. Mursi, che non vuole o non può cambiare la sua politica interna, sia per proprie convinzioni, che per essere ostaggio delle parti politiche più radicali, cerca di attuare strategie alternative che possano consentirgli accrediti ritenuti sufficienti presso la diplomazia occidentale. Con la distruzione dei tunnel il messaggio che si vuole fare passare è quello di combattere il terrorismo palestinese, ma se Israele potrebbe ringraziare per questa azione, è proprio dal fronte interno, nei movimenti più vicini al presidente egiziano, che possono venire i contraccolpi maggiori. La strategia è quindi di azzardo, perchè a Mursi potrebbe sfuggire il controllo dei gruppi contrari ad Israele, andando ad innescare un pericoloso cortocircuito proprio all'interno della compagine governativa.

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