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giovedì 14 febbraio 2013

Seul risponde a Pyongyang

Dopo il test nucleare nordcoreano, Seul ha risposto con il lancio di missili da crociera, durante una esercitazione. La gittata di questi missili consente il raggiungimento di qualsiasi obiettivo nella Corea del Nord, avendo un raggio massimo di azione di quasi 1.500 chilometri, che equivale circa al doppio della lunghezza dell territorio nordcoreano. Lo scopo dell'esercitazione è duplice: da una parte vi è un motivo di ordine internazionale, consistito nell'evidenziare a Pyongyang la capacità di fuoco sudcoreana, peraltro ben conosciuta, dall'altra parte l'atto è stato quasi obbligato da ragioni interne, per mostrare ad una popolazione allarmata, le capacità difensive nazionali e la disposizione della propria forza armata alla difesa della nazione. Per altro, dal punto di vista internazionale vi è un significato ancora ulteriore, oltre al segnale diretto verso Pyongyang, ed è quello inviato alla comunità internazionale, comunque già molto sensibile al problema. Seul sta dicendo in modo chiaro di essere pronto ad intraprendere azioni militari sia in risposta al test nordcoreano, che contro eventuali minacce provenienti dalla stessa parte settentrionale della penisola della Corea. Anche la tempistica scelta per fare presente al mondo intero della disponibilità di tali armi missilistiche, avvenuta in un momento di massima tensione nella regione, aggiunge motivi di preoccupazione per il panorama internazionale. Contemporaneamente le forze armate sudcoreane hanno svolto quattro giorni di esercitazioni congiunte con gli Stati Uniti, che mantengono la presenza di 28.500 militari, da impiegare nella malaugurata ipotesi di un attacco proveniente dalla Corea del Nord. Questa attività militare ha provocato la precisazione di Pyongyang, che pur ribadendo la propria capacità a fare fronte ad eventuali attacchi esterni, ha insistito sul bisogno del rafforzamento del proprio deterrente nucleare, più che altro contro gli USA, che guidano le forze ostili al paese nordcoreano. Siamo quindi di fronte ad un soggetto che non solo conferma la propria appartenenza al club nucleare, ma che ribadisce la propria necessità ad ampliare il proprio arsenale: una situazione ben diversa da quella dell'Iran, dove il governo, ufficialmente, ammette soltanto richerche nucleari ad esclusivi fini pacifici. In entrambi i casi si è adottato lo stesso mezzo di dissuasione, le sanzioni, che pur avendo peggiorato notevolmente la condizione di entrambi gli stati, non hanno sortito gli effetti desiderati. Con la fine della guerra fredda la proliferazione nucleare ha avuto un incremento che provoca, non più crisi globali ma crisi regionali, moltiplicando i potenziali conflitti. Resta il fatto che nessuno, se non qualche paese arabo, condanna Israele quale possessore di ordigni atomici ed analogamente neppure Cina, India e Pakistan ricevono censure per avere nel proprio arsenale bombe nucleari. Se la Corea del Nord può essere pericolosa, cosa dire allora di un paese come quello pachistano, dove esistono, spesso anche negli apparati governativi, tendenze collimanti con il radicalismo islamico. Ed in ultima analisi quale è il diritto di possedere tali ordigni di USA, Francia Inghilterra e Russia? La verità è che non si è fatto abbastanza per mettere al bando le armi atomiche sia dalle nazioni principali che dagli organismi internazionali. Accettare come legittimo il possesso di questi armamenti per Washington e non per Pyongyang, ha certamente delle basi relative valide, ma non ne ha in senso assoluto.

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