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lunedì 4 febbraio 2013

Siria, Iran e Turchia condannano l'azione militare di Israele

Damasco rompe la prassi consueta di mantenere il silenzio dopo essere stata vittima di una azione militare israeliana. Tale comportamento, nel passato, è stato giustificato da atteggiamenti o azioni compiute in segreto e che risultavano inamissibili agli occhi del panorama internazionale e che non consentivano, quindi, di richiedere una censura pur giustificata. Ma la situazione interna, dove la guerra civile ha preso il sopravvento ed il regime di Assad si trova in grande difficoltà, autorizza il dittatore siriano ad annunciare rappresaglie, anche se dietro il bombardamento di Tel Aviv, vi era la presunta fornitura di armamenti e strumenti di controllo elettronici al gruppo estremista libanese Hezbollah. Nella situazione caotica della Siria, ogni cautela di tipo diplomatico viene abbandonata ed anzi, per convenienza, l'attacco contro il convoglio in territorio siriano, da parte della forza aerea di Israele, viene sfruttato per accusare Tel Aviv di seguire una strategia volta a destabilizzare il paese e spostare, quindi, l'attenzione dalle vicende interne a quelle estere. Insieme alle accuse sono arrivate anche le minacce di Assad, che ha affermato che l'episodio sarà seguito da una risposta di pari tenore. Si tratta di minacce a cui difficilmente seguirà una attuazione pratica, le condizioni dell'esercito siriano sono quasi allo stremo, anche se episodi disperati e fuori dalle logiche previsioni non possono essere escluse. Israele si è premunito da tempo contro le potenziali minacce provenienti dalla Siria, schierando le batterie antimissile "Iron Dome" al suo confine settentrionale. Di ben altra valenza, però, sono state le minacce iraniane: il Comandante del Corpo della Guardia Rivoluzionaria Islamica dell'Iran, il generale Mohammad Ali Jafari, ha espressamente dichiarato che l'attacco di Israele non potrà avere una risposta, perchè la ritorsione violenta è l'unico modo possibile per relazionarsi con Tel Aviv. Teheran usa il rapporto preferenziale con Damasco come mezzo per minacciare direttamente Israele, reo ufficialmente di tramare per una destabilizzazione della regione, attraverso la tattica di colpire la Siria. Se per Teheran è fondamentale sottolineare l'alleanza con la Siria, sopratutto agli occhi del mondo scita, è ancora più importante fare confluire nella maggiore quantità possibile l'indignazione dei paesi musulmani, per l'azione militare in territorio straniero di Israele, a proprio vantaggio, come paese capofila contro quella che lo stesso Mahmud Ahmadinejad, ha definito come l'entità sionista. Nella questione è molto importante la situazione di tensione, mai sopita, tra i due paesi, che ha raggiunto i livelli massimi da quando l'Iran pare vicino alla costruzione della bomba atomica, con la conseguenza di un potenziale intervento armato contro i reattori iraniani da parte dei bombardieri con la stella di David, per ora, fortunatamente, evitato, grazie all'azione di Obama. Resta il fatto che, sia la Siria, probabilmente insieme all'Iran ed Israele hanno compiuto degli atti contrari al diritto internazionale. Ma se quello di rifornire di armi, gruppi terroristici, stanziati in un paese terzo, il Libano, rappresenta già una gravità elevata, l'invasione di un territorio straniero con le proprie forze armate, senza una dichiarazione ufficiale, costituisce una violazione ancora maggiore. In questa ottica la dichiarazione del premier turco Erdogan, che ha definito l'operazione israeliana come terrorismo di stato, esplica in modo chiaro il sentimento internazionale, presente anche in alcuni paesi occidentali, che temono una escalation della pericolosa situazione regionale. L'atteggiamento della Turchia deve essere valutato in maniera tutt'altro che superficiale: ex alleata di Israele, Ankara ha praticamente interrotto i rapporti con Tel Aviv in seguito ai fatti che hanno riguardato una azione militare da parte delle forze armate israeliane su di una nave turca, quindi anche qui in regime di extraterritorialità, che portava aiuti umanitari nella striscia di Gaza. La Turchia, che è protagonista di un notevole exploit commerciale sia per le sue esportazioni verso i paesi asiatici di religione musulmana, sia per la presenza sul suo territorio di molte industrie europee, ha percorso, negli ultimi anni una strategia di affermazione internazionale tale da assumere sempre più rilievo nella regione ed oltre, assumendo, ad esempio un ruolo quasi di guida nei confronti di alcuni paesi che hanno vissuto la primavera araba. L'influenza turca verso una buona parte del mondo arabo è stata dovuta anche alla ragione che al potere vi è un partito di ispirazione islamica, che ha introdotto, sebbene in forma più blanda rispetto ad altre nazioni, elementi confessionali nella vita pubblica, ciò ha permesso di accrescere il prestigio e la considerazione dello stato della Turchia, che viene considerato da molte entità un possibile modello da seguire per conciliare la forma di governo democratica con l'Islam. L'azione israeliana ha così già determinato conseguenze niente affatto irrilevanti sicuramente su di una visione prospettica a medio lungo periodo, che gli effetti della distruzione del convoglio di armi per Hezbollah, potrebbero non riuscire a bilanciare. Quello che risulta più preoccupante nell'immediato è il possibile concretizzarsi della minaccia iraniana, che potrebbe dare luogo ad una situazione in cui uno scenario di guerra non risulta affatto improbabile: occorre considerare la situazione interna iraniana alla vigilia di un voto che non si preannuncia scontato, sopratutto per gli effetti delle sanzioni sull'economia e la condizione interna della società, che, tuttavia, pare appoggiare in massa la scelta nucleare dello stato. Per il governo in carica spostare l'attenzione dai temi nazionali a quelli internazionali, dove gode più consenso, potrebbe essere una strategia da percorrere anche andando incontro ad evoluzioni pericolose. Ancora una volta l'unica soluzione sarebbe pacificare la situazione siriana, con l'estromissione dal potere del dittatore Assad: si fermerebbe la carneficina provocata dalla guerra civile e Teheran resterebbe senza un alleato fondamentale e senza appigli per provocare Israele. Serve però un accordo tra USA e Russia, su di una soluzione che dia possibilmente uno sbocco pacifico alla crisi. Mosca pare però avere mutato la sua posizione, ammorbidendola, essendo conscia dell'impossibilità per Assad di uscire vittorioso dalla guerra civile. Il governo russo avrebbe già fatto le sue mosse con l'opposizione siriana, per potere mantenere la propria base navale di Tartus, unica nel mediterraneo per l'armata di Mosca, considerata di importanza altamente strategica.

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