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venerdì 30 agosto 2013

L'errata gestione USA nella questione siriana

Dunque con il voto contrario del parlamento inglese, alla partecipazione di forze britanniche ad una azione militare contro la Siria, al fianco degli Stati Uniti, Obama ora è solo nei confronti della decisione da adottare. Per Cameron si tratta di una sconfitta non da poco, l’esecutivo inglese dovrà attenersi a quanto deciso dalla camera dei comuni, che ha sconfessato l’intenzione del premier inglese di attaccare la Siria. Alla Casa Bianca, questa decisione, per molti versi inaspettata, è stata accolta con disappunto: primo perché è una delle prime volte che il maggiore alleato degli Stati Uniti si dissocia da una azione prevista da Washington, con la quale è sempre esistita sintonia totale, secondo perché l’appoggio assicurato da Cameron era stato ormai dato per certo, proprio per le precipitose assicurazioni del capo del governo inglese. Proprio Cameron, la cui linea è stata completamente sconfessata, è una delle vittime della vicenda, che non potrà non avere ripercussioni all’interno della politica britannica. Ma se il premier inglese non se la passa bene, ora Obama resta totalmente isolato nella volontà di compiere l’attacco militare al regime di Assad. Dopo le tante titubanze ed incertezze, sul piano politico internazionale, peraltro ampiamente giustificate ma certamente non condotte al meglio, nella vicenda siriana l’evoluzione della posizione britannica, a cui è seguito un atteggiamento di maggiore cautela anche da parte della Francia, il prestigio degli Stati Uniti esce fortemente ridimensionato dalla incapacità della gestione complessiva di tutta la questione. Washington ha affrontato la questione fin da subito non facendo tesoro delle esperienze con l’Iraq e l’Afghanistan, continuando a rivestire un ruolo, quello del gendarme del mondo, cui non pare ne non volere, ne non potere assolvere più come prima. Il peso crescente dell’opinione pubblica interna, fortemente contraria ad interventi militari all’estero e soprattutto nel mondo arabo, la stessa contrarietà di Obama, che ha impostato la politica estera del paese su basi differenti e le mutate condizioni degli equilibri geopolitici mondiali, sono fattori che a cui non è stato dato il giusto peso nell’affrontare il problema. Alle minacce non è seguita una azione militare sanzionatoria effettuata nei tempi dovuti e ciò è stato giustificato con teorie differenti a seconda del momento, elemento che ha svilito il ruolo che gli stessi USA si sono dati. Gli Stati Uniti hanno, poi di fatto, sottovalutato il regime siriano ritenendolo incapace di fare uso delle armi chimiche (cosa già accaduta anni prima proprio ad opera del padre di Assad), credendo che sarebbero bastate le minacce americane e soprattutto l’atteggiamento del governo statunitense è stato ondivago nella condanna: prima si è mostrato favorevole ad una ribellione, che potesse assicurare la democrazia al paese, non tenendo conto delle varie forze che compongono l’opposizione ad Assad, ripetendo completamente l’errore di valutazione, quasi manicheo, già fatto con tutti gli episodi della primavera araba, poi ha fatto capire di preferire quasi che il regime di Damasco continui a governare la Siria, perché ciò potrebbe assicurare un equilibrio, seppure precario, alla regione, scongiurando l’ipotesi di un insediamento di forze islamiche radicali. La mancanza di una linea retta, uniforme e coerente della posizione americana ha, quindi, giocato a favore di Assad, della Russia e perfino dell’Iran, che possono mantenere i loro presidi strategici, perché l’influenza di Washington non ha saputo esercitare la sua pressione neppure sugli alleati più stretti, che si sono divisi in una serie di posizioni inutili per la causa USA. L’ultima versione per giustificare l’attacco alla Siria è la minaccia, proveniente da Damasco, costituita dal possesso delle armi chimiche; è chiaro che queste armi non potrebbero essere mai puntate sulle città statunitensi e quindi l’argomentazione sfiora la pretestuosità, tanto è remota. Anziché puntare sulla questione umanitaria, da cui si era partiti, gli Stati Uniti, per non sembrare fare esercizio di ingerenza nelle questioni siriane (una novità assoluta nella politica USA), usano ora argomenti a tutela dei propri interessi nazionali, che sviliscono il proprio prestigio diplomatico e concorrono alla diminuzione della loro importanza sulla scena internazionale. Qualunque sarà l’evoluzione della vicenda per gli USA non si sarà trattato di una bella pagina.

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