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giovedì 26 settembre 2013

La Turchia tra l'esigenza di entrare in Europa e quella di essere una potenza regionale

La delusione, dovuta all’incapacità del governo turco di convincere Bruxelles non adeguandosi agli standard richiesti, dei ripetuti fallimenti dei tentativi di entrare nell’Unione Europea, ha abbassato la soglia di del sostegno popolare per questa soluzione dal 70% registrato nel 2008 al 40% rilevato nel 2012. Si tratta di un calo dovuto principalmente a due fattori: il primo riguarda proprio i ripetuti rifiuti europei e le lungaggini burocratiche che hanno allontanato dalla prospettiva la parte laica del paese, che si sente tradita da una istituzione in cui si riconosceva per lo stile di vita sempre più tendente a quello occidentale, del quale sperava anche in un ulteriore contagio positivo per ridurre le influenze confessionali nella società turca; il secondo fattore, invece, è completamente opposto al primo, perché consiste nel mancato riconoscimento nei valori e nelle radici del vecchio continente, ritenuti completamente differenti da quelle del paese turco. Ma se i fautori della seconda motivazione hanno una prospettiva, che consiste nel guardare verso oriente per fare diventare la Turchia un paese guida in medio oriente, Africa mediterranea ed anche Asia, coloro che caldeggiano o caldeggiavano l’entrata in Europa restano orfani di un processo che poteva portare il paese fuori dall’impronta islamica sempre più presente e pressante. Per la verità questo processo di islamizzazione del tessuto politico è iniziato già da diverso tempo e recentemente è sconfinato anche verso un condizionamento dei costumi sociali. Il partito al governo, che non ha mai fatto mistero di dichiararsi islamico, è passato da una moderazione accettabile ad un rigore che ha sconfinato più volte nell’integralismo. Non si capisce bene se questa evoluzione è dovuta proprio al rifiuto dell’ingresso in una Unione Europea , che poteva esercitare un ruolo di freno a questa tendenza, o, piuttosto, ad una mutata esigenza geopolitica, che ha obbligato la Turchia a rivolgersi verso oriente per sostenere la sua notevole crescita economica, che è stata vista anche come una prospettiva geopolitica. Questa visione, secondo alcuni ambienti influenti del governo resta quella da perseguire perché è più facile penetrare in mercati che sono culturalmente affini, piuttosto che continuare a tentare l’ingresso in una istituzione, dove tutti gli appartenenti hanno una chiara impronta culturale differente. Questa valutazione non tiene però conto delle recenti scelte sbagliate in politica estera, effettuate dal governo turco, che hanno appoggiato i movimenti islamici, che sono diventati, seppure grazie a regolari risultati elettorali, sempre più illiberali, portando notevole instabilità nei paesi dove si sono insediati al governo. Questo sostegno, portato avanti con modalità acritiche, ha inasprito la posizione di Ankara anche verso delicati casi diplomatici, come la guerra siriana, cambiando le modalità di politica estera, da un esercizio più cauto ad uno più deciso, che, di fatto, ha provocato un certo grado di isolamento internazionale. La Turchia arriva così ad un bivio determinante per i suoi obiettivi: continuare una politica rivolta ad oriente per assumere un ruolo guida dei nuovi stati usciti dalle primavere arabe, un ruolo che promette molto ma è altrettanto rischioso perché il paese può perdere tutto il suo peso internazionale di media potenza, faticosamente costruito, nel caso di implosione di questa commistione tra potere legale e religione, che implica anche un ridimensionamento economico notevole, oppure continuare a percorrere la strada dell’ingresso in Europa, che consente di accedere al mercato, per ora, più ricco, ma che implica una minore importanza singola e quindi un taglio alle ambizioni di paese guida di regimi musulmani. Questa è una scelta obbligata perché le due cose non stanno insieme: quello che chiede l’Europa è il rafforzamento delle regole democratiche del paese, fatto impossibile in uno stato che si richiama alla religione islamica nei suoi fondamenti legali, per contro l’accettazione di questi dettami europei provocherebbe la perdita di influenza proprio su quegli stati su cui la Turchia vuole fare da guida. Malgrado le posizioni contrarie, il governo turco ha affermato che l’ingresso in Europa resta un obiettivo strategico al quale, forse, vale la pena di sacrificare le ambizioni regionali, ma che sarà conseguibile soltanto se queste rinunce diventeranno realtà.

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