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lunedì 30 dicembre 2013

Le difficoltà di Erdogan portano instabilità nel paese turco

Gli scandali che stanno attraversando la Turchia in questi ultimi giorni sembrano rappresentare una evoluzione delle difficoltà di Erdogan a ricoprire il suo ruolo di governo. L’impostazione data al paese turco, formata da quello che pareva un sapiente mix di islamismo moderato e capitalismo, che ha saputo sfruttare una considerevole crescita economica, sembra entrata definitivamente in crisi con i fenomeni di corruzione emersi recentemente. Vi è quasi una legge del contrappasso per il conservatore Erdogan, che ha inasprito il controllo sui costumi di una popolazione sostanzialmente laica, spingendo in maniera ossessiva l’influenza religiosa, per accreditarsi come guida di una serie di paesi islamici che guardavano alla Turchia come il modello al quale ispirarsi, essere accusato di fenomeni di corruzione. L’obiettivo del primo ministro del governo della Turchia era ristabilire, almeno in termini di influenza, nell’area dell’impero ottomano l’importanza primaria del paese turco, al fine di creare un soggetto sempre più importante sul piano internazionale. A questo disegno di ampio respiro di politica internazionale, ma viziato da una miopia conclamata, Erdogan ha sacrificato la stabilità nazionale, provocando con il suo nuovo atteggiamento rivolte interne, che ne hanno decretato il fallimento. Per inseguire paesi dove l’islamismo era più radicato o arrivava al potere in risposta ad anni di dittatura, la Turchia rinunciava alla propria anima laica ed anche europeista entrando in conflitto con i paesi occidentali e generando pericolose tensioni sociali a causa del mancato rispetto dei diritti civili. La trasformazione della Turchia è stata guardata con crescente preoccupazione dagli Stati Uniti e da quanti nell’istituzione europea si battevano affinché Ankara potesse entrare nella UE. Sul piano politico nazionale Erdogan ha perso alleati ed appare sempre più isolato, la sua reazione è scomposta e non favorisce un ritorno alla serenità del paese. Anche addebitare a non chiare manovre di potenze straniere, come responsabili della venuta alla luce degli scandali di corruzione, appare il tentativo patetico di chi è all’angolo e non è in grado di dare spiegazioni convincenti sugli avvenimenti incriminati. La portata dell’inchiesta è tale da rovinare la reputazione di qualunque uomo politico, ma, fatta salva l’innocenza del primo ministro fino a prova contraria, la risposta pratica di Erdogan non è stata quella di chi è in grado di governare la situazione, dimostrando un uso non appropriato degli apparati istituzionali, come peraltro già dimostrato. Se Erdogan fosse coinvolto nei fenomeni rilevati, la sua condanna politica è scontata, se, invece, gli episodi di corruzione sono sfuggiti al suo controllo, ad essere intaccata è la sua capacità di uomo di governo, soltanto una innocenza pienamente dimostrata potrebbe permettergli un recupero, che appare oltre modo comunque parecchio difficoltoso. La questione è che Erdogan non ha più il pieno controllo delle istituzioni, come era nelle sue intenzioni, e che i suoi nemici, nemici creati anche di recente grazie alla sua svolta islamica, stanno accerchiando il primo ministro e con esso la sua politica ormai sbilanciata verso l’oriente. Vi è una larga parte di opinione pubblica turca, che non ha mai perdonato ad Erdogan di non volere o di non riuscire a garantire all’Europa i requisiti richiesti per entrare a pieno titolo a Bruxelles. Per questa consistente frazione della società turca fare parte della UE rappresentava la migliore garanzia di applicazione e vigenza dei diritti civili e politici che il paese non aveva mai assicurato. Se, da un lato essere parte dell’Unione Europea rappresentava per lo stato turco un sicuro investimento, dall’altro poteva limitare lo spazio di manovra di un governo che aveva probabilmente maggiore interesse, per i suoi scopi e programmi, ad essere il leader di un insieme di paesi non al proprio livello, che essere uno stato facente parte di una organizzazione di nazioni più avanzate. Dietro questa lotta va ricercata l’erosione di consenso di Erdogan, cioè come fattore interno alla società turca, piuttosto che cercare fantomatiche spiegazioni straniere. Non sembra possibile che Erdogan possa tornare indietro dalle sue posizioni e solo una consultazione elettorale tra la popolazione potrà dire quale direzione prenderà la Turchia.

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