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venerdì 21 marzo 2014

Il rallentamento dello smaltimento dell'arsenale chimico della Siria

Il programma per la distruzione dell’arsenale chimico siriano continua a registrare rinvii. Da un lato ad influire sullo smaltimento è la situazione internazionale, su cui gravano i cattivi rapporti tra Mosca e Washington, che hanno praticamente interrotto la collaborazione circa le armi chimiche di Assad; dall’altro lato è la recrudescenza della guerra siriana, che non accenna a diminuire. I giorni scorsi un lancio di razzi ha colpito la città di Latakia mentre era in corso il trasferimento di armamenti destinati alla distruzione, mettendo in serio pericolo l’incolumità degli operatori internazionali. Il conseguente rinvio ha decretato il fermo alle operazioni di smaltimento. L’attività degli organi preposti a questo compito è spesso intralciata da episodi del genere, che vanificano gli sforzi, sia diplomatico, che operativi, faticosamente raggiunti. Pur essendo oggetto di un accordo internazionale, le operazioni preliminari alla distruzioni degli arsenali, la raccolta, lo stoccaggio e l’imbarco, vengono boicottate con azioni militari indirette, che tuttavia, potrebbero rientrare in uno precisa strategia da parte delle truppe di Damasco, avente come fine la limitazione delle perdite di questi armamenti. Senza più la collaborazione russa, gli operatori rimasti sul campo perdono una protezione preziosa, garantita dai contatti sempre più stretti tra il governo siriano e Mosca. Su questo punto, tuttavia, non si sentono le dovute rimostranze che l’ONU dovrebbe fare per garantire la dovuta velocità dei lavori. Attualmente si stima che soltanto il 23% dell’intero arsenale, composto da agenti chimici, classificati con priorità 1, appartenente ad Assad, sia stato imbarcato per la distruzione. Siamo quindi soltanto ad una piccola frazione degli interi armamenti. La classificazione di priorità 1 raggruppa le armi composte dagli agenti chimici più letali, quindi poi restano ancora neppure sfiorati dal programma altri composti, che sebbene meno letali, possono sempre provocare sofferenze alla popolazione e rovesciare le sorti del conflitto. Anche con il restante 77%, Assad detiene una forza micidiale, che può usare anche solo come minaccia. La sensazione è che il dittatore di damasco intralci l’uscita degli armamenti per usarli come forma di pressione. Resta da vedere anche quali siano i quantitativi in mano ai ribelli, soprattutto a quelli appartenenti alle forze fondamentaliste. Su questo punto la situazione risulta poco chiara ed il lavoro degli ispettori non è agevolato, ne dalle condizioni della guerra, ne dall’atteggiamento delle parti in causa. Questo capitolo della guerra, di cui i media sembrano essersi dimenticati, resta ancora molto rilevante, sia per la possibilità che questi armamenti vengano ancora usati, sia perché testimonia come Assad abbia agito in maniera poco chiara e soltanto per evitare la rappresaglia americana. Gli stessi Stati Uniti, paiono avere scordato le minacce esercitate sulla Siria, nel caso lo smaltimento non fosse stato veloce. Per Washington, che non aveva veramente intenzione di intervenire nel conflitto siriano, la lentezza dello smaltimento non è sintomo del mancato rispetto degli accordi, come, invece, si sta prefigurando. Alla Casa Bianca basta ancora una firma su accordi, di fatto, non rispettati per organizzare uno stop alla carneficina, soprattutto di civili, che si sta verificando nel paese siriano. Anche le Nazioni Unite dovrebbero sanzionare in qualche modo il governo della Siria per la lentezza delle operazioni, ma ciò non accade. Ancora una dimostrazione di come la guerra siriana sia ormai quasi un fatto abbandonato a se stesso, per mancanza di soluzioni capaci di soddisfare le grandi potenze.

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