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lunedì 30 giugno 2014

La Gran Bretagna vicino all'uscita dalla Unione Europea

La Gran Bretagna si trova di fronte alla questione europea in modo quasi definitivo. L’isolamento che Cameron ha provocato, opponendosi all’elezione di Juncker, al suo paese, tra l’altro con il solo appoggio dell’Ungheria, rischia di portare Londra al di fuori dell’Unione Europea. Per la verità, il premier inglese, con il suo comportamento, improntato ad uno scetticismo molto marcato contro Bruxelles, ha contribuito non poco a portare il paese in questa direzione, producendo, però, il fatto di essere scavalcato dalle forze populiste, che hanno ottenuto, proprio grazie a questi argomenti, un buon risultato elettorale. Neppure uno studio che afferma una penalizzazione notevole per l’economia inglese, anche in termini di posti di lavoro, sembra avere influito sulla condotta di Cameron, il quale, ha seguito una strategia tesa a tutelare la finanza britannica, credendo così di ottenere i favori in chiave anti tedesca. Una partita sostanzialmente persa, che mette il governo di Londra in uno stato di incertezza. D’altro canto, la Gran Bretagna deve prima di tutto essere chiara con se stessa: l’adesione alla UE è sempre stata vissuta in modo molto distaccato, cercando di prendere i benefici di Bruxelles, senza, tuttavia accollarsene gli oneri. La scelta di non appartenere alla moneta unica e continuare con la sterlina, aveva già chiarito abbondantemente lo scetticismo verso l’istituzione europea ed i continui intralci al processo di unificazione politica, e le avversioni alle misure economiche comuni, ponevano Londra in una sorta di esclusione, che non lasciava dubbi sulle reali intenzioni degli inglesi. Contro queste resistenze, occorre dire, che Bruxelles ha sempre agito in maniera fin troppo cauta, permettendo al governo inglese di mantenere una posizione di scetticismo verso l'Europa troppo marcata, senza richiamare Londra al rispetto, se non degli impegni, almeno di una reale condivisione della politica di unione dei paesi europei. Il fatto che l’unico stato ad avere votato contro Juncker, sia stata l’Ungheria, su cui è legittimo avere dei dubbi sui reali requisiti per mantenere il posto in Europa, data la stretta sui diritti civili, in particolare sulla libertà di stampa, imposta dall’attuale governo, significa che è in corso un distanziamento sempre maggiore tra Londra e gli altri membri della UE. Sarebbe opportuno che Bruxelles richiamasse la Gran Bretagna all’osservanza dello spirito europeo, viceversa ne concordasse l’uscita. L’Unione Europea non ha bisogno di freni interni, che limitano l’azione centrale solo in funzione dei propri interessi nazionali: l’Europa può andare avanti anche senza la Gran Bretagna, il contrario potrà forse funzionare sul breve periodo, ma alla lunga l’esclusione dal mercato europeo provocherà una crisi notevole al paese della regina Elisabetta. Ma Cameron, oltre ad essere condizionato da uno scetticismo personale verso l’Europa, deve ragionare su tempi ristretti, dettati dall’approssimarsi di appuntamenti elettorali, che potrebbero favorire ancora i populisti anti Bruxelles; per contro i laburisti sono favorevoli ad un impegno europeo, quindi il premier di Downing Street si trova tra due fuochi. Ma ancora non basta perché il suo partito è a maggioranza contro la UE. Sull’elezione di Juncker, pare che Cameron abbia giocato troppo d’azzardo finendo in una trappola costruita da lui stesso. Sul piano interno ammettere la sconfitta comporterà comunque delle ripercussioni negative sulla carriera politica del premier, ma ancora di più peserà sul futuro della Gran Bretagna all’interno dell’Europa. La compattezza con cui gli altri paesi hanno votato il candidato popolare, contro l’enfasi di Cameron, dimostra che si vuole fare arrivare Londra ad una decisione definitiva che interrompa il comportamento inglese: in futuro la Gran Bretagna potrebbe non essere più sopportata con i suoi atteggiamenti scettici e la via dell’uscita sarebbe la liberazione di un peso al processo di unificazione, mai condiviso da Londra.

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