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mercoledì 18 giugno 2014

USA: non ripetere in Afghanistan lo scenario irakeno

Assodato che la strategia americana in Iraq ha obbedito a ragioni di opportunità elettorale e pressione interna, sia prima che con Obama, ma che è stata ingiustificata e fallimentare, occorre oa vedere se verrà ripetuta in Afghanistan. Il pericolo di una ripetizione dell’avanzata dei sunniti radicali potrebbe ripetersi con una nuova rilevanza dei talebani, anche se questi non dovessero riuscire a riprendere il potere. Già attualmente grandi porzioni del territorio di Kabul sfuggono alla sovranità dello stato ed un abbandono massiccio del contingente americano, come promesso dal Presidente USA, non potrà che favorire, quanto meno, l’eventualità della ripresa delle azioni degli estremisti. Per lasciare un paese stabile ed alleato, dopo averlo occupato militarmente, occorre avere sviluppato un presidio del territorio e della società da parte degli organismi statali, che passa attraverso una politica condivisa dalle varie componenti politiche e sociali della nazione. Questo in Iraq non avvenuto si è lasciata una nazione al malgoverno di un alleato di comodo, ma inetto politicamente, che ha dilapidato lo sforzo statunitense, con la complicità ottusa di Washington. Un complicità certamente involontaria, ma che ha prodotto comunque il contrario del risultato voluto. Il caso afgano, pur essendo differente, minaccia di imboccare la stessa strada. Questa possibilità potrebbe contribuire a creare una ulteriore enclave del terrorismo musulmano difficile da estirpare. La Casa Bianca ha davanti alcune possibilità di azione: la prima è quella di rinnegare gli sforzi compiuti ed abdicare al suo ruolo nella speranza, illusoria, che questo sia rimpiazzato da altri. Nel caso irakeno potrebbe essere l’Iran, ma Teheran , che avrebbe le possibilità materiali per farlo, non agirà mai da sola per evitare ritorsioni diplomatiche ben più serie delle attuali sanzioni. La seconda ipotesi per Washington è quella di agire da soli, ma la dottrina di Obama in politica estera non lo consente: al contrario fossero stati alti tempi l’interventismo americano avrebbe potuto colpire i sanniti con interventi dal cielo, senza poi risolvere le questioni politiche. La terza opzione appare la più equilibrata ma anche l più tortuosa: operare una azione militare supportata da altre nazioni, sia a livello operativo, che a livello politico. Questa eventualità, che risulta essere l’unica ammessa da Obama, richiede maggiore tempo, in una situazione che, al contrario, deve essere risolta in maniera urgente. Questi problemi affliggono i funzionari di Washington che devono trovare in fretta una soluzione equilibrata. Nello stesso tempo, però, questa urgenza pu permettere di affrontare con maggiore esperienza la transizione afgana. Il coinvolgimento delle varie componenti tribali, ma anche quello essenziale dei paesi vicini, deve essere il modello da seguire a Kabul, seppure con maggiore calma. Ritardare la partenza dei soldati americani, presidio essenziale per il governo afgano, resta la condizione primaria per sviluppare una strategia che scongiuri lo scenario irakeno anche sul suolo afgano: una lezione non da poco, che se la Casa Bianca ed il suo principale inquilino non comprenderanno, pregiudicherà ogni progetto di politica internazionale della potenza americana.

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