Politica Internazionale

Politica Internazionale

Cerca nel blog

venerdì 27 febbraio 2015

Netanyahu come fattore di destabilizzazione della politica interna degli Stati Uniti

La presenza del leader israeliano Benjamin Netanyahu negli Stati Uniti crea tensioni nella politica interna del paese americano, ma aumenta anche la profonda tensione tra gli esecutivi dei due paesi. L’invito a parlare al Congresso al leader di Tel Aviv è stato fatto dal partito repubblicano, che detiene la maggioranza in entrambi i rami del parlamento, e riveste un importante significato simbolico, giacché Netanyahu farà il suo discorso prima di una sessione congiunta delle due camere per la terza volta, eguagliando il record di Winston Churchill. L’intenzione sembra essere quella di sottolineare come la sintonia tra l’esecutivo israeliano ed il parlamento statunitense sia un fattore che la politica estera statunitense non può tenere in debito conto, anche a costo di cambiare l’indirizzo impresso da Obama. Inoltre per il candidato Netanyahu si tratta si uno spot  elettorale importante, in vista dell’imminente appuntamento elettorale legislativo che si terrà a breve. Proprio con l’esito di queste elezioni il presidente Obama dovrà regolare i suoi rapporti con Israele: una vittoria della parte politica che sta al governo attualmente a Tel Aviv, significherebbe l’impossibilità di un accordo per la formazione dello stato palestinese ed un notevole intralcio nel negoziato del nucleare iraniano, viceversa una vittoria delle opposizioni aprirebbe notevoli possibilità alla nascita dei due stati e potrebbe aprirsi anche un periodo di distensione con l’Iran. Si comprende come si tratti di due visioni antitetiche, che dovranno comunque regolarsi con il nuovo presidente statunitense, che sarà eletto nel 2016. Attualmente però lo scontro è tutto interno agli Stati Uniti, con Obama che vuole ottenere assolutamente la definizione finale sull’uso dell’energia nucleare in Iran, argomento che resta al centro del dibattito americano di politica estera, con evidenti ricadute interne. Il partito repubblicano avversa questo obiettivo non fidandosi della disponibilità di Teheran e spingendo per nuove sanzioni, in completo accordo con Netanyahu, mentre Obama ha già avvertito della sua totale indisponibilità a mettere in atto queste sanzioni, che considera preventive, per non influenzare negativamente l’esito del negoziato. Sulla stessa linea di lettura, una interpretazione più estesa, rispetto alle scuse formali con cui Obama si è rifiutato di vedere Netanyahu, giustificando il fatto di non volere influenzare la campagna elettorale, del mancato incontro tra i due leader è l’espressione della volontà di non rischiare di creare delle occasioni di disaccordo proprio con l’Iran in questa fase delicata del negoziato. Del resto la posizione del leader israeliano è molto chiara: dopo avere più volte minacciato di attaccare l’Iran, ha espresso chiaramente la sua opinione in merito al negoziato in corso, definendolo un rinvio del problema. L’attuale esecutivo di Tel Aviv considera il possesso della tecnologia nucleare da parte dell’Iran, un’arma di distruzione di massa puntata su Israele ed i termini dell’accordo che si stanno delineando, che prevedono la concessione dell’uso dell’energia atomica per scopi civili a Teheran, in cambio di una limitazione all’arricchimento dell’uranio per alcuni anni (dieci o venti), potrebbero dargli ragione, anche se soltanto ipotizzando una mancata distensione sul lungo periodo. Questi timori sono condivisi dal partito repubblicano statunitense, che vede ancora l’Iran come un nemico, nonostante la collaborazione che si è sviluppata, seppure in maniera informale, tra Washington e Teheran nella lotta contro il califfato. Le tensioni tra le due parti politiche statunitensi, rischiano di bloccare ancora di più la politica estera americana, che, a causa delle indecisioni di Obama, ha subito notevoli contraccolpi riguardo ad il suo prestigio, ma che con l’atteggiamento conflittuale dei repubblicani rischia ora la paralisi. Il futuro della politica estera USA potrebbe essere una serie di forze uguali e contrarie, capaci di rendere impossibile una linea certa, tale da costringere gli Stati Uniti ad una politica caratterizzata da una azione di breve periodo, di piccolo cabotaggio, rendendo meno certo lo scenario globale. Forse occorrerà al paese americano una guida meno prudente e più esperta nella difficile arte della diplomazia, come Hillary Clinton potrebbe essere.  

Nessun commento:

Posta un commento