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giovedì 26 febbraio 2015

Obama e l'Emiro del Qatar si incontrano per trovare una convergenza nella lotta la terrorismo islamico

Il ritiro dell'ambasciatore del Qatar dall'Egitto, per sottolineare i profondi disaccordi tra Doha ed Il Cairo, in occasione dei bombardamenti, che il paese egiziano ha eseguito sul territorio libico, in risposta all’uccisione di cittadini egiziani copti, ha evidenziato la profonda spaccatura in atto tra gli alleati arabi degli Stati Uniti. Proprio per questo il vertice tenuto alla Casa Bianca, tra il presidente Obama e l’emiro del Qatar Tamin bin Hamad al-Thani, ha assunto una importanza rilevante, per ribadire i legami strategici tra i due paesi. La posizione del Qatar e delle altre monarchie del Golfo è stata sovente oggetto di analisi e di successive critiche, per l’appoggio fornito a gruppi islamici. Lo stesso califfato è probabilmente cresciuto con il finanziamento dei paesi del Golfo Persico, di religione sunnita, nell’ottica di destabilizzare la Siria di Assad, naturale alleato degli sciiti iraniani. L’evoluzione dello Stato islamico, ha poi portato il pericolo alle frontiere saudite, segnale evidente di un fenomeno sfuggito al controllo degli iniziali finanziatori, che, forse, pensavano di avere un totale controllo sulle milizie integraliste, inizialmente impegnate a combattere il governo di Damasco e che poi si sono espanse nel territorio irakeno. L’atteggiamento del Qatar contro l’Egitto ha costituito un motivo di allarme per Washington, che ha intravisto nuovi pericoli nella alleanza contro il califfato. Gli Stati Uniti hanno difeso l’azione egiziana, ben contenti di avere trovato un alleato, per di più di matrice araba, anche se guidato da una dittatura militare, disponibile ad impegnarsi sul campo, sia con azioni aeree, che con truppe di terra , contro il nuovo fronte aperto dallo Stato islamico. L’atteggiamento di Doha ha destato più di un sospetto sulle reali intenzioni del Qatar, che hanno dato l’impressione di appoggiare le milizie islamiche in Libia. Non si tratta di un problema da poco, gli Stati Uniti hanno bisogno di una alleanza basata sui paesi arabi, che non deve essere soggetta ad incrinature, deve, cioè, costituire un fronte compatto contro l’integralismo. L’appoggio egiziano, come quello giordano è importante, ma si tratta di stati guidati da regimi o governi, che pur dichiarandosi musulmani, sono sostanzialmente laici. Da questo punto di vista, per la lotta al califfato il coinvolgimento delle monarchie del Golfo Persico, che hanno un maggiore coinvolgimento con la religione, assicura una maggiore barriera contro le ragioni dello Stato islamico. Per questo motivo l’incontro tra Obama e l’emiro del Qatar rientra nella strategia americana di mantenere un alto livello di collaborazione con stati, che, sebbene formalmente alleati, perseguono una politica estera su di una linea differente dalla Casa Bianca. L’esponente del Qatar ha riaffermato come il suo paese garantisca il sostegno a gruppi di musulmani esclusivamente moderati, ed in questo la linea di condotta è probabilmente concordata con il governo americano, tuttavia, nell’ambito della Libia occorre verificare che cosa il Qatar intenda per gruppi moderati, visto la preponderanza dello Stato islamico. Occorre ricordare che nelle ultime elezioni libiche la formazione vincitrice è stata quella di orientamento laico e che è stata costretta all’esilio di Tobruk proprio dagli islamisti, che non hanno gradito il verdetto delle urne, quelli sono probabilmente sostenuti dal governo del Qatar. Questo incontro non è stato gradito dai repubblicani, anche per il rifiuto del Presidente americano di incontrare il premier israeliano invitato dal Congresso, dove il partito repubblicano ha la maggioranza. Obama ha giustificato il suo rifiuto con l’intenzione di non influenzare la campagna elettorale in corso in Israele. A proposito della situazione palestinese, il Qatar ha manifestato la volontà di recitare un ruolo da protagonista nella mediazione con il gruppo di Hamas, il cui leader risiede nel paese.

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