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lunedì 29 giugno 2015

Investire nelle forze laiche e moderate per sconfiggere il terrorismo islamico

L’evoluzione della strategia del terrorismo, unita alla guerra in medio oriente deve porre domande sul come contrastare più attivamente l’estremismo islamico. Siamo di fronte a più azioni combinate che hanno come obiettivo quello di portare la destabilizzazione fin dentro all’occidente; in questa fase l’obiettivo dello Stato islamico è quello di consolidare la sua sovranità nelle zone occupate e fare arrivare la paura fino ai confini dell’Europa. Il caso tunisino è eloquente: si vuole colpire l’economia e la stabilità politica di una nazione dove si sta cercando di affermare la democrazia, mediante una unione di forze politiche capaci di coinvolgere anche partiti islamici moderati attraverso il blocco dell’attività turistica, che rappresenta l’otto percento del prodotto interno lordo, ma che è anche il simbolo di tutto quello che i fondamentalisti non tollerano. Nello stesso tempo la grande vicinanza con le sponde europee del mediterraneo costituisce una evidente minaccia per i paesi alleati degli Stati Uniti.  Il discorso deve però essere allargato ben oltre la Tunisia, dove pure tra molte difficoltà, gli sforzi per l’affermazione del processo democratico sono evidenti, ed abbracciare l’intero mondo arabo e gran parte di quello musulmano. Se è vero che non tutti i musulmani sono terroristi, è anche vero che tutti i terroristi appartenenti al fondamentalismo religioso sono, per lo più musulmani e la loro maggioranza è di origine araba. Questo assunto deve portare a considerare strategie alternative a quelle esclusivamente militari, che hanno natura di urgenza ma sul lungo periodo vedono diminuire i propri effetti e favorire la ricomparsa dell’estremismo. Certamente in questa fase gli strumenti militari e diplomatici devono avere la precedenza, ma nello stesso tempo è necessario stabilire una strategia più politica capace di investire tutti i settori della società araba; certamente ciò è più complesso in un momento di grave instabilità, tuttavia iniziare a sfruttare in modo adeguato anche le poche risorse che sono presenti può costituire una ottima base di partenza.  Occorre sollecitare un maggiore intervento nella vita politica dei paesi arabi di quei religiosi di orientamento moderato e dei cittadini che non si riconoscono nella religione e si sentono non credenti. Il fenomeno dell’ateismo è sempre maggiore nelle società musulmane, dove il potere statale si mescola con quello religioso, si tratta di un aspetto che potrebbe permetter una visione maggiormente libera dai condizionamenti estremisti, anche perché pare veramente difficile prevedere il coinvolgimento di un non credente all’interno del fenomeno terroristico islamico. Naturalmente non si tratta di una via facile, gli atei nei paesi arabi, sono spesso colpiti duramente anche da leggi repressive, ma in questo momento appaiono una risorsa irrinunciabile sulla quale investire per tentare una svolta pacifica nella società araba. Deve essere favorito un dialogo tra questi settori, che spesso non hanno però proprie organizzazioni di riferimento, proprio a causa dell’ostracismo politico, e la fascia, senz’altro più ampia, di religiosi moderati, che rifiutano l’interpretazione distorta dei fondamentalisti e che, dopo un periodo di silenzio, sono sempre più decisi a dichiarare la propria avversità alle violenze. Questo rendere pubblica l’ostilità agli integralisti esporrà certamente i religiosi islamici a possibili ritorsioni, che dovranno essere accuratamente evitate. L’aiuto ai paesi attraversati dal terrorismo deve quindi avere una visuale più ampia, capace di andare oltre il coinvolgimento militare, ma assicurare una collaborazione in grado di penetrare la parte non contaminata dal fondamentalismo delle società arabe, mediante il lavoro e le capacità delle organizzazioni non governative, in grado di elaborare progetti in favore della popolazione, che troppo spesso tollera per timore o per mancanza di alternative la presenza integralista.  Sicuramente sarà uno sforzo sul lungo periodo che dovrà essere sostenuto da azioni militari e diplomatiche, capaci di convincere molti governi della necessità della tutela di posizioni non sempre gradite, ma che rappresenta un investimento per la stabilità degli stessi paesi arabi o governati da forze politiche confessionali. 

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