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giovedì 27 agosto 2015

Per l'Italia è necessario mantenere il Senato con proprie prerogative a garanzia della democrazia dello stato

Uno dei temi attualmente centrali nella politica italiana è costituito dalla riforma costituzionale che il governo in carica vuole portare a compimento e che riguarda la variazione  del bicameralismo perfetto, con la declassazione del Senato della Repubblica. Alla base del procedimento ci sono ragioni di opportunità politica, tese a sveltire l’iter dell’approvazione delle leggi e motivazioni di contenimento dei costi della politica. Il nuovo Senato, dovrebbe essere composto da personale eletto indirettamente e facente parte degli enti regionali e locali ed avrebbe funzioni, per lo più consultive. Il dibattito intorno a queste intenzioni è serrato ed il progetto di riforma è contestato sia dall’opposizione, che da parti consistenti della stessa maggioranza. La nuova normativa, come è concepita appare una riduzione della democrazia, perché consegna troppo potere ad una sola camera ed elimina un contrappeso rappresentato dallo stesso Senato, di fronte ad una concentrazione troppo elevata di prerogative decisionali. Occorre ricordare anche che il tutto dovrebbe avvenire in un contesto elettorale bloccato dalle segreterie dei partiti, che decidono le candidature praticamente certe di essere elette, senza che l’elettore possa esercitare una preferenza nominativa. A poco può valere l’obiezione che le liste elettorali possono essere decise da eventuali primarie, non regolate da leggi dello stato ed attuate in maniera troppo incerta ed incontrollata, per garantire un reale esercizio democratico. La storia recente della politica italiana ha portato a capo del governo, ben tre persone di seguito al di fuori del processo elettorale; seppure queste investiture sono avvenute nel rispetto formale della legge, la violazione morale, e quindi non perseguibile, della democrazia è stata cosa evidente. Del resto i principali soggetti politici italiani, i partiti, esercitano la loro attività senza che vi sia una legge che ne regoli e disciplini il loro funzionamento, che avviene, spesso, con modalità dove l’esercizio democratico appare molto limitato. In questa situazione ogni istituzione che perda potere non può che rappresentare un segnale di allarme per la vita democratica del paese. Il rischio concreto è quello di concentrare nelle mani di pochi nominati il potere legislativo ed anche il controllo sull’attività di governo. Proprio per queste ragioni sarebbe importante mantenere al Senato della Repubblica delle prerogative peculiari, certamente differenti da quelle della Camera, che restino a garanzia del presidio democratico del paese. Per prima cosa il Senato deve continuare ad essere elettivo e poi deve avere delle funzioni proprie, che siano però rilevanti e non le stesse, come è attualmente, della camera. In sostanza si dovrebbe passare da un bicameralismo perfetto ad un bicameralismo asimmetrico, dove il Senato possa legiferare su alcuni questioni particolari ed a esso riservate, possa esercitare un controllo politico sui disegni di legge decisi dal governo, per evitare una concentrazione troppo elevata della potestà dell’esecutivo, che spesso sottrae alle Camere il ruolo di legislatore, possa avere un ruolo di rilievo con i rapporti con gli enti locali e continui a fare parte del collegio  che elegge il Presidente della Repubblica ed i giudici costituzionali. Riguardo al problema dei  costi, esso è facilmente risolvibile comprimendo le spese sia della Camera, che del Senato ed, eventualmente, riducendone i componenti in entrambi i rami del parlamento. L’importante è che venga garantita al Senato una sopravvivenza in grado di garantire la democrazia della vita politica complessiva del paese e non sia ridotto a mero organo istituzionale completamente svuotato di poteri, per asservire un progetto che mira a comprimere il livello della democrazia del paese.

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