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mercoledì 30 settembre 2015

Vertice alle Nazioni Unite contro il terrorismo

Il presidente statunitense Obama si è dimostrato ottimista sui possibili risultati della guerra contro lo Stato islamico, che sta diventando sempre più l’obiettivo principale della fine del mandato. Il vertice tenuto a New York, presso le Nazioni Unite, sulla lotta al terrorismo ha visto la partecipazione di circa 100 nazioni, di cui 60 fanno o sono entrate a fare parte della coalizione contro il califfato, che ha registrato, proprio in occasione del summit, l’adesione di Nigeria e Malesia. Questa massiccia partecipazione contro le forze dello Stato islamico, tuttavia, appare un dato sostanzioso soltanto dal punto di vista numerico, dato che le adesioni si articolano su forme di partecipazione molto differente, che va dal semplice appoggio, alla partecipazione diplomatica, fino all’impegno militare diretto. Il Segretario Generale delle Nazioni Unite Ban Ki Moon ha messo  in guardia le nazioni partecipanti sul crescente pericolo rappresentato dai combattenti stranieri che si arruolano nelle fila del califfato: si stima, infatti, che si sia registrata una crescita di questo fenomeno nell’ordine di circa il 70 per cento. Si è calcolato che gli appartenenti stranieri nelle milizie dello Stato islamico  provengano da almeno un centinaio di paesi differenti, questo fattore espone così, praticamente il mondo intero, sebbene a livello locale con percentuali differenti, ad un rischio molto alto rappresentato dal terrorismo di ritorno. Si tratta di miliziani, che finita la propria esperienza impegnati nei combattimenti per il  califfato, tornano in patria, spesso in paesi occidentali, ma anche asiatici ed africani, con una preparazione militare evidentemente maggiore e, sopratutto, con un indottrinamento estremista, che può costituire la base per la formazione di cellule terroristiche che possono sfuggire al controllo delle froze dell’ordine. D’altro canto questa metodologia di allargamento del fronte di combattimento in un frazionamento massiccio, tale da portare la guerra islamica fino dentro a nazioni con istituzioni molto radicate, rappresenta un obiettivo del califfato, che potrà diventare sempre più importante a prescindere dalle sorti del conflitto. Quello che teme il Segretario delle Nazioni Unite è che si venga a creare un sempre più diffuso stato di emergenza nel mondo, in grado di alterare equilibri politici consolidati, per diffondere ed attuare il messaggio fondamentalista. Non a caso uno dei punti maggiormente discussi è stato quello su come stroncare la propaganda dell Stato islamico, che si è rivelata, attraverso un uso sapiente dei moderni mezzi di comunicazione, lo strumento che più ha permesso di raccogliere le adesioni degli stranieri tra i combattenti del terrorismo islamico. Ma aldilà di questi temi, molto importanti e seguiti il clou del vertice è stato l’incontro tra Obama e Putin, che pur mantenendo le proprie posizioni su altre questioni cruciali, come l’Ucraina, hanno convenuto sulla necessità di una collaborazione militare per combattere lo Stato islamico. Per la Russia la necessità di sconfiggere il califfato è forse ancora maggiore di quella degli Stati Uniti, per la presenza di diversi gruppi estremisti sul proprio territorio, da cui provengono diversi combattenti che si sono arruolati nelle milizie integraliste. Le differenze tra Mosca e Washington riguardano il destino della Siria, individuata come punto di partenza necessario per risolvere la questione con il califfato. In effetti se si raggiungesse una fine della guerra civile siriana, con la sconfitta delle forze integraliste presenti sul terreno, verrebbe ristretta la capacità di manovra delle forze del califfato, a cui resterebbero i territori irakeni e diventerebbe meno difficile cercare la definitiva sconfitta dei fondamentalisti. Putin resta fermo sulla sua posizione di mantenere al potere Assad, o almeno, garantirgli un ruolo ufficiale se si arriverà ad un negoziato per la definizione del governo del paese siriano, questa determina una grande distanza da Obama, tuttavia la necessità di fermare il conflitto ed il conseguente esodo dei profughi, sembra rimandare questa questione a favore di una intesa su di una possibile collaborazione militare incentrata su raid aerei congiunti. Putin, ufficialmente sembra seguire Obama sul rifiuto di impiegare proprie truppe sul terreno, ma ciò mette in pericolo un possibile risultato positivo, difficilmente raggiungibile, come finora dimostrato, senza un impegno diretto sul terreno. Proprio questo punto dimostra la debolezza di una coalizione, che seppure tanto vasta, non riesce a dotarsi dei mezzi necessari per perseguire la vittoria contro milizie, che sono certamente organizzate, ma che hanno come unico punto di forza tattico militare il presidio del territorio e sfruttano la mancanza di volontà degli avversari internazionali di affrontarli direttamente sul campo di battaglia. 

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