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mercoledì 27 aprile 2016

L'Unione Europea sull'orlo della dissoluzione

Si potrebbe verificare una serie di coincidenze tali da creare una congiuntura politica negativa da mettere in pericolo la sopravvivenza dell’Unione Europea, almeno nella sua forma attuale. L’attuale momento storico, infatti, sembra essere il più pericoloso per l’organizzazione sovranazionale di Bruxelles dalla sua creazione. L’Unione Europea deve affrontare una serie di sfide, che appaiono difficili da superare, se già prese singolarmente, mentre sommate appaiono un ostacolo veramente difficile da superare, senza adeguati correttivi alle politiche comunitarie nel loro insieme. La prima sfida è la possibile uscita della Gran Bretagna: se, da un lato, gli effetti economici, nel lungo periodo, potrebbero essere addirittura rivelarsi positivi per Bruxelles, i contraccolpi politici dell’abbandono di Londra sarebbero in grado di aprire una serie di fronti in grado di favorire sopratutto i partiti euroscettici ed indirizzare sulla via inglese altre nazioni. Esiste poi il problema interno connesso all’uscita dall’Unione Europea della Gran Bretagna, ma non condiviso da Galles e Scozia, che, quindi, aprirebbero una loro uscita dal Regno Unito, favorendo un analogo comportamento di regioni che aspirano ad ottenere una propria sovranità, il cui caso più eclatante è rappresentato dalla Catalogna. Anche se questi territori sono contrari ad una uscita da Bruxelles, una loro eventuale secessione dagli stati di origine verrebbe a rappresentare un fattore di forte alterazione degli equilibri interni dell’unione, capace di generare nuovi contrasti tra il centro e la periferia. Vi è poi il ritorno del caso greco, Atene è ancora alle prese con una situazione debitoria difficoltosa a causa della scelta, principalmente del governo tedesco, di applicare al paese una politica fortemente restrittiva, che impedisce uno sviluppo dell’economia sufficiente a ripagare i debiti. La sofferenza del popolo greco, che rappresenta il culmine   di quanto imposto da Berlino è la constatazione di quanto l’attuale Unione Europea si sia discostata dai propri principi fondativi, che dovevano mettere al centro la crescita del benessere dei cittadini, anziché quello delle banche e della finanza. Questo fattore ha provocato dubbi notevoli sulla bontà dell’Europa, anche in quei settori sociali che credevano nell’istituzione di Bruxelles, indebolendola ulteriormente. Ma ancora non basta: la questione dei profughi e la divisione della loro assistenza ha creato dissidi profondi tra gli stati, mettendo in pericolo l’accordo di Schengen e creando una spaccatura, sempre più insanabile, tra stati del sud e quelli del nord e dell’est, in cui si sono registrate posizione intemperanti verso i profughi, sopratutto da paesi governati da esecutivi di destra, che si sono già segnalati per il sempre minore rispetto dei diritti civili. L’ultimo caso, quello dell’Austria che ha schierato la propria polizia in assetto anti sommossa al confine con l’Italia registra come i rapporti si siano deteriorati, forse fino ad un punto di non ritorno. Scorrendo tutte queste situazioni ed analizzandole anche in maniera superficiale, appare difficile non pronosticare un loro sviluppo nel senso più negativo per l’Unione Europea, che, nel caso, dovrà per forza di cose rivedere parecchi aspetti della propria organizzazione. Una prima reazione, ad esempio, all’atteggiamento dei paesi orientali, già minacciata da alcuni stati, è il taglio dei contributi a loro favore; occorre ricordare che le nazioni orientali ricevono da Bruxelles in aiuti finanziari più di quanto contribuiscano a dare al bilancio complessivo dell’unione. Una forma coercitiva del genere è certamente auspicabile per chi non rispetta i propri doveri nella divisione degli oneri e non rispetta i diritti sociali dei propri cittadini. Certamente questa opzione potrà aumentare i dissidi, ma potrebbe anche aprire una soluzione ad una Europa più ristretta e costruita sulla base di regole veramente condivise e non determinata da adesioni di convenienza. Volere insistere a mantenere in una istituzione comune tanti paesi con poco  o nulla in comune, se non l’appartenenza geografica, conviene soltanto a chi vuole trarre vantaggio dalla grande disponibilità di lavoro a basso costo ed avere a disposizione un mercato sempre più vasto; ma queste sole caratteristiche non bastano a sostenere un progetto che deve essere più ambizioso. Questo scenario deve essere l’occasione per una ridiscussione dell’Unione Europea, basata sulle sue regole e sui suoi obiettivi, che deve partire, prima di tutto, dai suoi membri fondatori; più che la creazione di  una Europa a due velocità, basata su valori economici, si deve creare un’Europa a più velocità sui valori politici, sociali e civili: una sorta di meccanismo di partenza per arrivare ad una sola Unione dove vi è piena condivisione dei valori iniziali, ripristinati da una profonda analisi sui comportamenti dei singoli stati, che sappia prevedere ua gamma di sanzioni il cui culmine deve essere l’esclusione dall’Unione e dai suoi vantaggi. Solo così si potrà creare una istituzione sovranazionale capace di governare le difficoltà contingenti in modo egualitario per gli stati aderenti, senza scompensi o svantaggi. Da ciò, finalmente, si potrà ripartire per l’unione politica del vecchio continente, viceversa il futuro è la dissoluzione politica dell’Europa, che costituirà alla fine della moneta unica ed il ritorno al frazionamento preesistente, assolutamente inadatto ad affrontare le sfide, ancora più dure, che l’evoluzione della globalizzazione imporrà al mondo intero.

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