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venerdì 17 febbraio 2017

Stati Uniti: le possibili conseguenze dell'abbandono della soluzione dei due stati

L’incontro tra Trump e Netanyahu segna il cambiamento del paradigma che aveva fino ad ora contrassegnato l’atteggiamento degli Stati Uniti circa la possibile soluzione del conflitto tra palestinesi ed israeliani; l’assunto infatti prevedeva la conclusione delle ostilità della lunga questione, grazie alla soluzione dei due stati su di un unico territorio. Il nuovo presidente statunitense ha affermato di considerare valide, se accettate da entrambe le parti, sia la soluzione di due stati, che quella di uno stato. Si tratta di una posizione almeno confusa e poco chiara, che pare funzionale soltanto alle ambizioni di una parte di Israele, ben rappresentata al governo e, sopratutto, di Netanyahu, che ha più volte manifestato pubblicamente l’insofferenza verso una soluzione che dia sovranità territoriale al popolo palestinese. La dichiarazione di Trump sembra evidenziare un approccio poco definito al problema tra israeliani e palestinesi, risultato, probabilmente di una scarsa informazione e poca conoscenza delle conseguenze di una tale visione. Favorire implicitamente la parte che dispone già di uno stato e di una organizzazione amministrativa e burocratica ben definita, rischia di fare esplodere nuovamente in modo grave la situazione tra le due parti, giacché appare altamente improbabile che i palestinesi possano accettare nella regione soltanto l’esistenza dello stato israeliano, senza un’analoga entità statale espressione delle istanza palestinesi. Il cambio alla Casa Bianca è stato visto favorevolmente dal governo di Tel Aviv, che negli otto anni democratici, ha patito l’avversione di Obama, dovuta proprio al comportamento di Netanyahu, troppo inaffidabile per la politica che Kerry voleva portare avanti circa la soluzione dei due stati. La posizione ambigua di Trump rischia di non permettere più la creazione di uno stato palestinese e ciò potrebbe provocare uno spostamento della classe dirigente palestinese verso posizioni più estreme, funzionali a stati desiderosi di diventare i paladini di questa causa, per ragioni e motivi politici che vanno oltre la stretta contingenza. Potrebbe essere il caso dell’Iran, che, seppure appartenente al ramo sciita dell’islam, userebbe le ragioni palestinesi, per ragioni strumentali nel confronto con l’Arabia Saudita ed altri stati sunniti. Ciò potrebbe essere la naturale evoluzione per contrastare le relazioni, reali anche se non ufficiali, che Israele ha stretto con l’Arabia Saudita, l’Egitto e la Giordania ed altri stati sunniti. Il principale motivo di queste alleanze sono la prevenzione ed il contrasto potenziale allo Stato islamico ed a altri movimenti radicali, per evitare che le attenzioni del terrorismo islamico siano rivolte anche contro Israele, tuttavia Tel Aviv ha in comune con gli stati sunniti l’avversione allo stato iraniano, che teme anche come potenza nucleare regionale, un sentimento condiviso proprio con l’Arabia Saudita. Nelle intenzioni del governo israeliano ci sarebbe l’intenzione di sfruttare questi contatti con gli stati arabi, per favorire un processo di pace stabile e duraturo con i palestinesi, ma che potrebbe anche non prevedere la creazione di uno stato sovrano palestinese. Il rischio è che gli stati arabi sacrifichino le ambizioni dei palestinesi per allacciare legami con uno stato militarmente forte come è Israele e che gode del pieno appoggio statunitense, ancora più rinforzato dalla presidenza di Trump. Senza il bilanciamento di una poltica diplomatica analoga a quella condotta da Obama e Kerry, che aveva come obiettivo la creazione dei due stati, i palestinesi rischiano di entrare in una sorta di isolamento, che potrebbe essere rotto con una vicinanza all’Iran. Questa possibilità potrebbe diventare realtà se gli stati sunniti non ottenessero risultati favorevoli ai palestinesi; il rischio è quello di vedere la continuazione della tattica di Netanyahu di allontanare ogni decisione definitiva per guadagnare tempo con il fine di incrementare gli insediamenti e presentare poi il fatto compiuto. Si rischia di arrivare ad uno scenario di ripresa del terrorismo palestinese e ad un ritorno a posizioni radicali di Teheran, anche sollecitate dalla volontà di revisione del trattato sul nucleare, espresse da Trump. La questione palestinese rischia così di tornare al centro dello scenario internazionale, ma con condizioni pericolose per l’equilibrio regionale e mondiale. 

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