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lunedì 31 luglio 2017

Gli USA e la questione nordcoreana

Il sorvolo di due bombardieri americani sulla penisola coreana, ha voluto essere una risposta all’ultimo test missilistico di Pyongyang. Secondo diversi analisti militari la Corea del Nord avrebbe ormai acquisito la tecnologia sui vettori a lungo raggio, tanto che sia Los Angeles, che San Francisco potrebbero essere raggiunte dai missili di Pyonyang; i dubbi che restano sono ancora sulla effettiva capacità di miniaturizzare gli ordigni atomici, da installare su missili intercontinentali. Sebbene sia ormai accertato che la Corea del Nord sia una potenza nucleare, lo è, per il momento, soltanto su base convenzionale, ma non sarebbe ancora in grado di avere a disposizione ordigni atomici sufficientemente piccoli da essere trasportati da vettori capaci di coprire così grandi distanze. Tuttavia il livello della progressione tecnologica di Pyongyang sta progredendo in modo veloce e ciò rende concreta la minaccia  la minaccia, per gli USA, di diventare un obiettivo raggiungibile. Trump sembra non essere in grado di gestire una situazione, che metterebbe alla prova politici ben più esperti; nonostante i propositi bellicosi enunciati in campagna elettorale e nella prima fase della sua presidenza, la Casa Bianca non riesce ad andare oltre ad appelli ripetitivi verso Pechino, Mosca e gli alleati regionali: la Corea del Sud ed il Giappone. Questi ultimi appaiono i più preoccupati per la vicinanza geografica con la Corea del Nord. Ma l’amministrazione americana insiste nell’inquadrare il problema non solo come emergenza relativa ai soli Stati Uniti, ma anche agli alleati regionali, ai quali richiede un maggiore impegno, anche sul piano militare. Questa visione ha qualche giustificazione, data proprio dalla distanza ridotta con Pyongyang, tuttavia un atto ostile contro Corea del Sud o il Giappone, obbligherebbe comunque gli americani ad intervenire. La strategia di contrasto alle velleità atomiche della Corea del Nord, resta così affidata ad una azione diplomatica, rivolta verso la Cina ed anche la Russia, che non sembra ottenere risultati apprezzabili. Se non è stato sbagliato, all’inizio, rivolgersi verso Pechino, per sollecitare una sua azione di dissuasione verso Pyongyang, ora Trump deve prendere coscienza che questa strada non ha dato i risultati sperati ed occorre una variazione tale da scongiurare una deriva pericolosa. L’obiettivo della Corea del Nord è quello di arrivare ad incontri bilaterali con Washington, in modo che la sua potenza militare sia riconosciuta in maniera ufficiale. Non si tratterebbe però di un risultato di immagine: il regime di Pyongyang mira ad un riconoscimento che vada aldilà di quello di Pechino e che comprenda una serie di aiuti economici in grado di risollevare il paese, senza che gli arsenali atomici siano intaccati. Per gli USA una tale concessione non è neppure pensabile e ciò favorisce l’attuale situazione di stallo, che da, però, tempo ai nordcoreani di progredire nella miniaturizzazione degli ordigni atomici. In questo scenario ci sono fondamentalmente tre attori, USA, Cina e Corea del Nord, che stanno giocando una partita su di una improvvisazione pericolosa. Trump, contrariamente a quanto ci si poteva attendere e probabilmente consigliato dagli ambienti militari, ha adottato un atteggiamento cauto, Pechino sembra avere deciso di non assecondare la richieste americane, se non con dichiarazioni scontate e Pyongyang ha assunto un comportamento che sembra seguire le modalità di un giocatore di azzardo, cercando di portare gli USA al limite. Ciò, chiaramente implica tutta una gamma di rischi, dove quello del confronto militare è soltanto il culmine. Sull’atteggiamento cinese è necessaria, però, una riflessione, dato che l’instabilità regionale non dovrebbe giovare ai programmi commerciali di Pechino; la Cina fornisce la percezione di volere sfruttare l’attuale stato di cose e, sopratutto, l’atteggiamento nordcoreano, che tiene in apprensione gli Stati Uniti, per cercare di arrivare ad una situazione maggiormente favorevole a Pechino; cioè un ammorbidimento degli USA sulle questioni del commercio e della riduzione dell’impegno in una regione considerata zona economica esclusiva dai cinesi. Obama non ha mai cessato di assicurare il suo appoggio a Seul e Tokyo, ed anzi considerava la regione come il nuovo fulcro dell’azione politica internazionale americana. Trump, invece, trasmette una minore convinzione su questo argomento e ciò da alla Cina il pretesto indiretto per approfittare di questa situazione. Se il presidente USA non fornirà un atteggiamento più determinato e risoluto sull’importanza della regione, darà  una sensazione di debolezza e di disinteresse, che autorizzerà gli altri soggetti presenti nella zona ad aumentare il proprio peso politico, anche con azioni non diplomatiche.

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