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lunedì 23 ottobre 2017

Giappone: Abe potrà cambiare la costituzione pacifista

Il premier giapponese, Shinzo Abe, è il vero vincitore delle elezioni anticipate in Giappone; la sua coalizione elettorale, che ricalca quella di governo, ha conquistato la maggioranza dei seggi, anche grazie alla frammentazione dell’opposizione, che non è stata in grado di trovare dei punti di intesa comuni adeguatamente forti da contrastare la coalizione vincente. Il Partito della Speranza, con un programma simile al premier, che aveva, secondo i sondaggi, le maggiori possibilità di contrastare la vittoria di Abe, non ha raggiunto i risultati sperati e ad avanzare è stata la Sinistra liberale, che si colloca su posizioni opposte a quelle del governo, sopratutto in relazione all’introduzione di modifiche costituzionali ed al ritorno dell’impiego dell’energia nucleare. Questo risultato segnala la presenza della crescita di una forza di opposizione compatta alla voglia di militarizzazione del paese e, quindi, una spaccatura nel tessuto politico giapponese, he potrebbe portare ad una crescita della polarizzazione.  L’obiettivo del premier nipponico era quello di conquistare i due terzi della Camera bassa, che, uniti, all’analoga maggioranza nella Camera dei Consiglieri, permettono al governo di effettuare la revisione della Costituzione giapponese, elaborata nel 1947 sotto la supervisione americana e caratterizzata da alcuni divieti per le forze armate del paese, che ne hanno decretato l’appellativo di Costituzione pacifista. Attualmente la legge fondamentale non consente al Giappone di operare e di intervenire, con il suo esercito, nei teatri di guerra internazionali, anche nell’eventualità siano coinvolti negli eventuali conflitti paesi alleati; la sola possibilità di intervento attuale è quella della difesa legittima. Certamente le mutate condizioni geostrategiche della regione hanno influenzato quella che Abe considera una esigenza improrogabile: trasformare le forze di autodifesa nipponiche in un esercito vero e proprio; tuttavia queste istanze erano già presenti prima degli attuali sviluppi ed i sentimenti nazionalisti del paese sembrano avere sfruttato l’occasione giusta per la  modifica della carta costituzionale. Restano però innegabili le due ragioni principali per la trasformazione delle forze armate: la prima è l’attività della Corea del Nord, che ha più volte minacciato materialmente il Giappone, con il lancio di razzi caduti nelle acque territoriali nipponiche, la seconda causa contingente è l’atteggiamento di Trump, presidente del maggiore alleato giapponese, di volere ridurre l’impegno militare statunitense, sopratutto dal punto di vista economico, nella regione; anche se questa volontà del presidente americano non potrà essere assecondata, proprio per mantenere alta l’attenzione su questioni di interesse vitale per gli USA, la necessità di una maggiore indipendenza organizzativa e di azione è diventata una priorità per Tokyo. Il pericolo rappresentato da Pyongyang appare reale: l’impossibilità di potere opporre una forza armata effettiva alle continue prove di forza di Kim Jong-un, penalizza anche i potenziali tentativi diplomatici di risolvere le crisi e di questo fattore è apparso consapevole l’elettorato che ha dato fiducia al premier in carica, che proprio su questo argomento ha fondato la sua campagna elettorale. Se esistono, quindi, aspetti che possono giustificare la modifica costituzionale, al contrario non si possono fare considerazioni di opportunità che vanno nella direzione opposta. Il crescente protagonismo cinese, anche dal punto di vista militare, può portare a situazioni di scontro tra Pechino e Tokyo, ognuna gelosa della propria dimensione regionale ed anche i frequenti contrasti tra il Giappone ed altri paesi del sud est asiatico, anche riguardo ad isole contese, può portare il rischio concreto, che un Giappone armato rappresenti una variabile negativa in più, all’interno del complesso sitema di equilibri regionali. Nuovi armamenti o, come in questo caso, nuovi eserciti, spostano la dialettica tra gli stati da una dimensione puramente diplomatica ad una dove il peso delle armi diventa crescente, anche solo come fattore preventivo. Gli ultimi fatti della crisi coreana, che è la situazione più preoccupante, ma non la sola, nella regione, potrebbero prendere sviluppi ancora più preoccupanti con la presenza di una forza armata in più nello scenario. 

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