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mercoledì 31 gennaio 2018

La nuova strategia dello Stato islamico

La strategia globale dello Stato islamico per compensare la perdita della sovranità sui territori siriani ed irakeni si basa sul confronto all’interno del radicalismo islamico, per assumere una posizione di preminenza all’interno dei gruppi radicati nelle realtà nazionali. Se l’obiettivo in Afghanistan sono i talebani, in Palestina è l’organizzazione Hamas, ciò perchè lo Stato islamico intende portare avanti una battaglia al di fuori delle nazionalità per percorrere l’affermazione di un islamismo transnazionale, dove le rivendicazioni locali sono viste come un ostacolo  alla diffusione della guerra santa. Il fatto che sia i talebani che Hamas rientrino tra i sunniti (anche se i talebani di una corrente differente) non li sottrae ad una aperta ostilità delle forze del califfato, che cerca di estremizzare il confronto, anche in un’ottica di maggiore diffusione dei propri ideali attraverso l’indebolimento di quelle organizzazioni che possono potenzialmente sottrarre reclute ed investimenti. Diventa singolare che sia i talebani che Hamas, vengano accomunati agli sciiti ed ai cristiani, come obiettivi da combattere. Se lo Stato islamico dovesse continuare in questa strategia e riscuotre qualche successo, il pericolo di una destabilizzazione progressiva potrebbe farsi molto concreto; in questo quadro la dichiarazione di guerra ad Hamas contiene importanti risvolti che non devono essere assolutamente sottovalutati. Innazitutto lo Stato islamico sta cercando di insediarsi nel territorio della penisola del Sinai: si tratta di una zona strategica per attaccare Hamas, l’Egitto ed anche lo stesso Israele, che costituisce il bersaglio mediatico più rilevante. Non è da trascurare neppure la volontà di cercare di entrare in Egitto per fare proselitismo, in un paese che si avvia alle elezioni e dove il malcontento dei Fratelli musulmani potrebbe offrire una occasione per essere incanalato verso il terrorismo. Riguardo ad Hamas le critiche dello Stato islamico vertono anche con l’alleanza che l’organizzazione palestinese ha in corso con l’Iran ed Hezbollah, entrambi di matrice sciita. L’avvicinamento di Hamas, i cui componenti sono sunniti, agli sciiti è stata una mossa obbligata in quanto tutti e tre i soggetti hanno come nemico principale lo stato israeliano. Una delle conseguenze ed anche delle responsabilità di Tel Aviv e di Washington è stata proprio quella di spingere Hamas verso l’Iran, a causa della dissennata politica di espansione nei territori palestinesi, delle discriminazioni della popolazione della striscia di Gaza e, da ultimo, il riconoscimento  unilaterale di Gerusalemme come capitale dello stato ebraico ad opera degli Stati Uniti. Ciò ha contribuito al successo, anche se per ora limitato, dello Stato islamico tra i palestinesi, che vedono nel califfato una sorta di ultima occasione per combattere Israele in maniera efficace. Per ora a Tel Aviv non sembrano essere preoccupati dalla presenza dello Stato islamico a pochi chilometri dal territorio israeliano, infatti i timori maggiori riguardano sempre la presenza minacciosa di Hamas; questo particolare potrebbe vedere con favore, da parte israeliana, un aumento del confronto tra Stato islamico ed Hamas in ottica di ridimensionamento dell’organizzazione palestinese. Questo eventuale atteggiamento, sommato ad una sottovalutazione della presenza dello Stato islamico nel Sinai potrebbe rivelarsi molto pericoloso per gli equilibri regionali e la stessa sicurezza di Israele. Sulle altre possibili ragioni del confronto con Hamas, da parte del califfato, occorre ricordare che nella fase iniziale lo Stato islamico ha probabilmente ricevuto finanziamenti da diversi stati sunniti, che avevano come obiettivo quello di fare cadere il regime di Assad e destabilizzare la parte sunnita irakena, per la presenza a Bagadad di un governo espressione degli sciiti. Il pericolo che questa parte della storia si ripeta, anche visto il diverso atteggiamento della Casa Bianca, in funzione anti Iran e quindi contro gli alleati di Teheran è una possibilità da non scartare, dato che gli equilibri della regione non si sono affatto assestati nonostante la fine, o presunta tale, del conflitto siriano. Manovrare un gruppo come lo Stato islamico, formato da fanatici spesso votati al martirio, non sembra troppo difficile, più complicato sarebbe rimediare agli eventuali disastri provocati da un eventuale sostegno  al califfato.

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