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mercoledì 14 marzo 2018

La scarsa affidabilità diplomatica della Russia nel conflitto siriano

La guerra civile siriana, per la Russia, ha offerto la grande occasione di permettere a Mosca di tornare a recitare un ruolo da grande potenza; complice il colpevole disinteresse di Obama e l’isolazionismo di Trump, per Putin è stato facile occupare uno spazio, lasciato libero anche dall’Europa. Così il paese russo ha potuto coniugare la protezione della sua zona di influenza, rappresentata dalla tutela della dittatura di Damasco con la necessità, da potere spendere sul piano interno, di ritornare ad essere un protagonista mondiale. L’intervento russo si è così concretizzato anche sotto le insegne della lotta al terrorismo, che hanno potuto giustificare anche altri obiettivi. In effetti, però Putin si è guadagnato consensi anche nel campo occidentale, legittimando la sua propensione al protagonismo, che tanto gli aveva fatto riscuotere successi in campo elettorale. Essere intervenuti in Siria ha anche consentito alla Russia di giocare abilmente sui tavoli della diplomazia: stringendo alleanze, talvolta anche scomode e muovendo in direzione dei tradizionali avversari. La rivalità con gli Stati Uniti, non certo attenuata dalla nomina di Trump a presidente, è aumentata, consentendo a Mosca di essersi avvicinata da Iran, con il quale condivide la protezione di Assad e Turchia, che le circostanze stanno sempre più allontanando dall’Alleanza Atlantica. Se il Cremlino ha tentato di fare valere le sue ambizioni anche su altri terreni, come avere cercato di influenzare elezioni in altri paesi, non solo negli USA, o di avere rivendicato con azioni di dubbia legalità la propria area di influenza, come in Crimea ed in Ucraina, la Siria rimane il terreno principale dove fare valere il proprio peso politico nel contesto internazionale. Tuttavia per continuare una azione lineare dell’azione internazionale, la Russia deve avere alleati, ufficiali o ufficiosi, che non abbiano contrasti e si muovano su di una linea uniforme: ma non è così. La politica turca costringe Erdogan al contrasto di qualsiasi entità curda che possa ambire all’esercizio di una propria sovranità, anche all’interno della dittatura di Damasco e, sopratutto se queste ambizioni si cerchino di attuare in prossimità dei confini di Ankara. Le azioni militari intraprese dalle forze armate turche contro i curdi siriani si stanno svolgendo sul territorio siriano e ciò ha già provocato le rimostranze di Assad; occorre ricordare che i curdi siriani sono stati determinanti, per il ruolo svolto dalla loro fanteria, nella lotta allo Stato islamico in questi territori. La loro azione è stata essenziale non solo per la Siria, ma anche per gli Stati Uniti, con i quali si sono spesso raccordati e dai quali hanno ricevuto appoggio logistico. Non è probabilmente lontano dal vero dire che l’avversione turca contro i curdi siriani dipenda, oltre che dal loro essere, appunto, curdi, anche dalle sconfitte inflitte alle formazioni del califfato che all’inizio godevano dei finanziamenti degli stati sunniti, tra cui, quasi certamente anche la Turchia. La situazione umanitaria che si sta verificando nelle zone curde, a causa dell’intervento turco è molto grave ed altrettanto pericolosi sono i potenziali sviluppi di un attacco alle zone curde dove sono presenti militari statunitensi. In questa situazione l’unica potenza che potrebbe rivestire un ruolo di intermediazione è soltanto la Russia, ancora presente in forze in Siria; tuttavia la chiara incertezza di Mosca ad assumere questo ruolo dimostra come la potenza russa sia tale soltanto sul piano militare, mentre l’azione diplomatica si caratterizza per una eccessiva titubanza, dovuta all’incapacità di effettuare una scelta tra Assad ed Erdogan. Se il primo personaggio è ormai asservito all’orbita russa, il secondo è considerato un potenziale strumento per danneggiare gli Stati Uniti, ma l’invadenza turca in terra siriana potrebbe rivelarsi controproducente anche per Mosca, anche perchè potrebbe dovere gestire una situazione ancora più complicata se venissero coinvolti effettivi delle forze armate americane. Questa incertezza diplomatica russa appare in netto contrasto con la dimostrazione militare con la quale la Russia ha influito sulle sorti del conflitto siriano. Certamente il coinvolgimento diretto di una potenza regionale come la Turchia è un fatto più complicato da gestire che combattere milizie in guerra per procura di altri stati, che stavano bene attenti a non esporsi, ma senza l’azione diplomatica l’ambizione russa di essere considerata una grande potenza è lascita a metà, sostanzialemente è incompleta e quindi inaffidabile.  

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