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giovedì 12 aprile 2018

Le variabili dello scenario siriano

La ragione del perchè il conflitto in Siria rischia di diventare una sorta di guerra mondiale è  la presenza di forze armate di diversi paesi sul territorio siriano, con obiettivi evidentemente differenti; uno scenario che presenta una variabilità di situazioni in equilibrio fortemente precario. Facendo un’analisi delle forze in campo si deve partire dall’interprete principale del conflitto: il dittatore di Damasco Bashar Al Assad. Dopo sette anni di guerra, con mezzo milione di  moti e metà della popolazione del paese sfollata all’estero, il governo di Damasco controlla circa due terzi del territorio e, nominalmente, appare come il vincitore della guerra; tuttavia si tratta di una vittoria conseguita soltanto grazie all’intervento degli alleati russi ed iraniani, senza i quali sarebbe stato presumibilmente sconfitto già tre anni addietro. Assad è una figura ridotta a  capo di stato fortemente controllato dagli alleati, mantenuto al potere soltanto per favorire gli interessi geopolitici di Mosca e Teheran. La Russia, inizialmente, aveva l’obiettivo principale di mantenere il controllo sull’unica base navale nel mare Mediterraneo, situata proprio sulla costa siriana; Putin è però stato abile a sfruttare il vuoto lasciato dagli USA, prima con Obama e dopo con Trump, facendo riconquistare a Mosca quel ruolo da super potenza che aveva promesso ad una popolazione sempre più nazionalista. Dal punto di vista militare la Russia ha legittimato la sua influenza sul paese siriano con un impiego di circa 50.000 soldati e, sopratutto, con l’installazione di un sistema di contraerea basato sulla tecnologia russa. Per l’Iran, oltre che l’aspetto geopolitico conta quello religioso: l’obiettivo di Teheran è quello di creare una fascia territoriale, che, partendo dall’Iran, attraversi l’Iraq, la Siria ed arrivi al Libano, per unire la popolazione sciita; si tratta di una questione fondamentale per la repubblica islamica, sopratutto nella fase attuale, che vede una unione sempre più compatta tra gli stati sunniti, capeggiati dagli storici nemici dell’Iran: l’Arabia Saudita. Oltre questi due paesi c’è la Turchia, che si contraddistingue per un  comportamento non sempre lineare, a seconda delle convenienze del momento: se all’inizio, probabilmente, Ankara ha contribuito a finanziare gli estremisti sunniti, che poi sarebbero diventati le truppe del califfato, con gli sviluppi del conflitto si è avvicinata ad Assad, inquadrandolo come potenziale alleato per il contenimento delle ambizioni curde di creare una propria entità sovrana. Attualmente l’esercito turco presidia una fascia di territorio siriano situato sul proprio confine ed ultimamente ha di nuovo cambiato atteggiamento su Assad auspicandone la caduta, dopo che le forze regolari siriane si sono schierate a protezione dei curdi. Gli USA, dopo avere fatto la valutazione che lo Stato islamico era stato sconfitto dovevano fare rientrare in patria i circa 4.000 effettivi presenti sul suolo siriano, il bombardamento con armi chimiche sta cambiando i piani di Washington. Questa svolta repentina ed inaspettata può essere stata dettata da ragioni di opportunità interna ed internazionale dovute a solleciti israeliani per la presenza degli iraniani sulle frontiere del proprio paese. Per Tel Aviv, infatti, la vicinanza delle truppe di Teheran non è accettabile, anche perchè significa anche un appoggio materiale per Hezbollah. Tuttavia Tel Aviv mantiene buoni rapporti con Mosca e ciò rappresenta una variabile poco decifrabile nei rapporti del Cremlino con gli iraniani. Infine occorre considerare ancora altre forze armate presenti sullo scenario, che non sono però espressione di entità statali, ma milizie di gruppi  sradicati dalle loro postazioni, come nel nord siriano e nella zona di Aleppo vi sono gli appartenenti ad Al Qaeda, mentre nel deserto tra Siria ed Iraq vi sono diversi gruppi di appartenenti allo Stato islamico, che potrebbero costituire il serbatoio per nuove milizie radicali. Un discorso a parte deve essere fatto per i curdi, che senza l’appoggio americano potrebbero avvicinarsi ai russi, creando una nuovo motivo di imbarazzo nel rapporto tra Mosca e l’Iran. Questo quadro restituisce una una situazione molto complicata e ricca di variabili, che con uno sviluppo di tipo militare, quale il possibile attacco americano ad Assad, rischia di avere forti ripercussioni anche su scala mondiale. Gli scenari futuri appaiono di difficile previsione, anche se uno scontro diretto tra USA e Russia non sembra probabile, le due potenze avrebbero il modo di farsi la guerra su altri piani, primo fra tutti quello commerciale e della stabilità europea. Senza contare che aspetti consolidati come l’accordo sul nucleare iraniano verrebbe sicuramente cancellato. Ora è il momento che le diplomazie agiscano e scongiurino una fase negativa per tutto il mondo.

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