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mercoledì 11 luglio 2018

La Cina investe nei paesi arabi

La Cina prova a giocare un ruolo da protagonista nella politica internazionale mettendo a disposizione di alcuni paesi arabi e del medio oriente ingenti aiuti economici. Si tratta di uno schema abitualmente usato da Pechino per instaurare buoni rapporti politici con altri paesi, che possano assicurare alla potenza cinese prima di tutto buone prospettive commerciali ed anche ottimi sviluppi nelle relazioni diplomatiche. Fino ad ora, questo metodo, era stato usato in maniera così masiccia con gli stati africani ed in maniera meno accentuata con gli stati europei; l’ingresso nei paesi arabi e mediorientali costituisce una novità e segnala la volontà cinese di allargare il proprio raggio d’azione, anche in potenziale contrasto con gli Stati Uniti, che, tradizionalmente, hanno interessi strategici in queste aree del pianeta. Del resto la volontà isolazionista di Trump rappresenta una occasione per favorire i piani cinesi di esercitare una sorta di soft power condotto attraverso il mezzo finanziario. L’investimento di Pechino dovrebbe aggirarsi intorno ai diciassette miliardi di euro, destinati a sostenere progetti di industrializzazione e costruzione di infrastrutture, che dovranno costituire il volano per le economie degli stati finanziati.  Le finalità, infatti, riguardano la creazione di posti di lavoro, che dovranno avere il duplice scopo di accrescere la diffusione della ricchezza ed, attraverso questa, garantire stabilità sociale, con il fine ultimo di arrivare ad una soluzione dei problemi della sicurezza di questi territori. Risulta significativo che la prima tranche di questi aiuti vada alla Palestina con 12,8 milioni di euro, mentre 77 milioni saranno spartiti tra Giordania, Libano, Siria e Yemen. Si tratta di paesi dove sono in corso conflitti o, comunque, presentano situazioni di alta instabilità e che, spesso, hanno costituito terreno di reclutamento per gruppi terroristici del fondamentalismo islamico. Sarà interessante verificare quali saranno, anche le reazioni di Tel Aviv e Washington al finanziamento alla Palestina, che rappresenta l’ingresso, per ora indiretto, di Pechino nella contesa israelo-palestinese; risulta facile prevedere che le reazioni di Tel Aviv e Washington non saranno positive al finanziamento a favore della Palestina, peraltro la Cina non ha mai mostrato l’interesse ad entrare nella questione puramente politica, ma è chiaro che un atto di questo genere può farla diventare potenzialmente un nuovo attore della contesa. Se si vuole entrare nel campo delle ipotesi si può presumere che, il finanziamento costituisca il primo approccio per  un impegno diretto di Pechino nella risoluzione dell’annoso problema tra israeliani e palestinesi,  per aumentare il proprio prestigio internazionale. L’investimento cinese nell’area araba è stato preceduto da rapporti crescenti sul piano economico, dato che la crescita del commercio bilaterale ha avuto un incremento di quasi il 12% in tredici anni e dove spicca l’impegno di società cinesi nel settore dell’energia; inoltre a Gibuti la Repubblica Popolare cinese ha installato la prima base militare al di fuori del proprio territorio. Nella strategia cinese la centralità è occupata dalla costruzione e crescita della Via della Seta, che vuole ricalcare l’antico tracciato che dalla Cina si estendeva cerso il resto del mondo ed era il percorso più importate per i commerci.  Per realizzare questo progetto il piano cinese prevede la costruzione di una serie di infrastrutture differenti: gasdotti in Birmania, autostrade nel Pakistan, linee ferroviarie in Kenya e porti in Grecia e Sri Lanka, ma la centralità degli stati arabi, e la  loro disponibilità energetica, li pone in posizione di primo piano nel progetto di Pechino e l’intenzione è di coinvolgere la Lega Araba a dare il sostegno alle intenzioni cinesi.  Ma la Cina ha anche un secondo fine, oltre quello commerciale, che riguarda l’aspetto della sicurezza, inteso come prevenzione di possibili attentati proprio contro le infrastrutture in costruzione, definito come mantenimento della stabilità; Pechino è preoccupata dall’alto tasso di radicalizzazione presente nell’area e destinerà l’investimento di circa 130 milioni di euro per le forze di sicurezza e sistemi di sorveglianza. Uno dei motivi di preoccupazione è quello di una possibile saldatura tra estremismo uiguro, popolazione musulmana che vive nella regione cinese dello Xinjiang, spesso sottoposta a dura repressione da Pechino ed i movimenti radicali islamici arabi, una fusione che potrebbe compromettere o alterare gli investimenti cinesi nei paesi mediorientali. 

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