Politica Internazionale

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martedì 11 gennaio 2011

Secondo HRW la Cina continua a negare i diritti civili

Human Rights Watch denuncia che la Cina continua a violare i diritti umani, contravvenendo agli stessi obiettivi che il governo di Pechino si era dato fin dal 2009. Il programma che la Cina aveva varato, probabilmente più che altro per gettare fumo negli occhi al resto del mondo, prevedeva l'introduzione di diritti civili e politici, la tutela delle minoranze all'interno dei confini statali, la cessazione della tortura e delle carceri segrete ed inoltre la cooperazione in fatto di diritti umani con altri paesi. Human Rights Watch ha rilevato che la Cina fa uso sistematico della delazione e di capi di imputazione fumosa per incarcerare i dissidenti, violando i più elementari diritti civili e bloccando la libertà di stampa e di espressione intervenendo sulla pubblicazione di giornali e siti internet. Non poco ha pesato la vicenda del premio Nobel Liu Xiaobo che ha messo in risalto la condizione dei dissidenti cinesi. In evidenza anche il gran numero delle condanne a morte eseguite, che fanno della Cina il paese che fa maggiormente uso della pena capitale. La difesa della Cina punta sulla riduzione della povertà della popolazione e del diffuso benessere nonma non tocca i temi dei diritti civili, insistendo sulla industrializzazione del paese.

Nella UE nel 2009 un solo attentato islamico


Un’interessante studio dell’Europol, organismo intergovernativo che costituisce la polizia dell’Unione Europea, ha analizzato i 294 attentati compiuti sul suolo della UE nel 2009 ed ha appurato che un solo attentato, compiuto in Italia, è da attribuire a matrice islamica. Il risultato dello studio offre spunti interessanti di riflessione per i continui allarmi procurati da minacce islamiche; non che il risultato di questo studio debba fare abbassare la guardia di fronte al fondamentalismo islamico, tuttavia la reale portata di tali minacce risulta, proprio per i risultati evidenziati, almeno ridimensionata. E’ chiaro che l’evidenza mediatica scaturita dall’attentato dell’undici settembre ha condizionato in maniera del tutto diversa la percezione di un possibile attacco islamico, percezione rinforzata anche dagli attentati di Londra e Madrid, ma ad essere cambiata è stata anche la modalità di azione e prevenzione degli organismi di polizia e vigilanza degli stati, che hanno dovuto variare radicalmente il loro approccio al terrorismo esterno. Gran parte del successo dei risultati che lo studio dell’Europol illustra dipendono proprio dal successo della prevenzione ottenuto dal costante lavoro delle polizie europee congiunto all’azione diplomatica; ma assodato questo è importante focalizzare l’uso strumentale fatto dai governi e dai media sulla spada di Damocle che ha gravato sulla società europea e rappresentata in concreto dalla minaccia terroristica islamica. Da un lato le alleanze con gli USA e la NATO hanno obbligato i governi europei ad allinearsi ad una politica dove l’avversario doveva essere demonizzato, mentre dal lato dei media riportare le notizie con più o meno enfasi ha costituito una cassa di risonanza di sicuro effetto. Dallo studio è risultato che la gran parte degli attentati  siano stati effettuati da movimenti indipendentisti o schegge di gruppi anarchici o di estrema destra, si è trattato di atti terroristici provenienti non dall’esterno ma dall’interno dei paesi vittime, in special modo per quanto riguarda Spagna e Francia ha riguardato ben 237 attentati dai separatisti, ma in quel caso pesa l’attività dell’ETA. Nel rapporto dell’Europol vi è una riflessione interessante: si stima, infatti, che le forze di polizia temano maggiormente l’attentato di matrice islamica perché potenzialmente in grado di provocare una mortalità maggiore con una singola azione, ciò trova motivo rilevante nella modalità avvenuta nei già citati attentati di Londra e Madrid.

lunedì 10 gennaio 2011

La deriva dell'azione politica: un triste dato comune

L'attentato di Tucson pone in risalto la radicalizzazione dell'agone politico trasceso da confronto ad attuazione di minacce. Non è un caso che riguarda i soli Stati Uniti, lo scadimento qualitativo del dibattito politico perpetrato attraverso i principali protagonisti del confronto, i politici, ed amplificato in modo scandalistico da tutti i media sta generando picchi di violenza. Non si è arrivati all'improvviso a questa situazione, si è passati attraverso vari gradi di confronto che dal dibattito serrato è peggiorato in pubblici insulti, diffamazioni ed uso di fatti privati spesso distorti ad arte. In questa pratica non vi è differenza religiosa o di latitudine o peggio di cultura, il livello dello scadimento è tale che è comune a tutti i paesi. Riguardo ai fatti americani, che, data il loro recente accadimento, possiamo usare come esempio, è stato giustamente stigmatizzato il comportamento del movimento del Tea Party. La campagna del movimento di Sarah Palin è stata da subito improntata ad una violenza verbale eccessiva, tesa a scaldare volutamente gli animi, si è creata un'offerta politica basata non su proposte costruttive ma sulla denigrazione dell'avversario, presentato in modo artamente distorto in modo da essere percepito come nemico dello stato, dei valori cristiani e finanche tacciato in modo esplicitamente razzista. E' stata essenzialmente ed in maniera cruda un'operazione di marketing costruita apposta per piacere alla parte più retriva ed arretrata degli USA, ma probabilmente gli effetti hanno superato le intenzioni. Cercare di cavalcare simili pulsioni è senza ombra di dubbio  pratica da politici consumati e non dilettanti praticamente allo sbaraglio, i risultati danno un ritorno immediato in termini elettorali, riempiendo anche vuoti di potere creati da difficoltà di partiti tradizionali, ma dopo si ci può trovare ad affrontare situazioni delicate come quella di Tucson, e si rischia di andare vicino ad essere incolpati per istigazione. L'analisi del comportamento politico del movimento del Tea Party non presenta peculiarità e singolarità americane, tanto è vero che si trovano analogie con altri casi nel mondo: sfruttare le parti più conservatrici ma nel contempo anche più arretrate con forme di populismo che fanno leva su proposte semplici e senza la dovuta articolazione richiesta per affrontare i problemi consente una presa  agevole su grandi masse. Una caratteristica di fondo è la presenza dell'elemento religioso che permette una gamma più vasta di strumenti, in quest'ottica è indicativa la pratica di alcuni gruppi radicalisti islamici che fanno coincidere l'azione politica con le posizioni religiose più oltranziste.In Europa pratiche analoghe sono ormai comuni a movimenti localistici e territoriali che puntano la loro propaganda politica contro il diverso con toni sempre più urlati. In conclusione la deriva sta caratterizzando i nostri tempi, si è imposta una sorta di globalizzazione del modo di praticare l'azione politica livellata verso il basso, un modo che non cerca soluzioni ma propone l'annientamento dell'avversario senza la ricerca del confronto fattivo: nulla di più contrario alla ricerca del bene comune

mercoledì 5 gennaio 2011

Cristianesimo ed Islam sempre più divisi

Un recente sondaggio di Le Monde ha rilevato che oltre il 40 per cento dei francesi e dei tedeschi vive l'Islam come una minaccia. Le cause sono la scarsa integrazione con i popoli autoctoni, i costumi sessuali, la condizione femminile e perfino gli usi gastronomici. Questo disagio è comune con altre nazioni europee, non siamo più, come nel secolo scorso, quando l'immigrato era visto come una minaccia perchè sottraeva posti di lavoro, ora la minaccia è il suo credo religioso. Si tratta di un salto di qualità che, a prima vista, sembra una contraddizione nel mondo della globalizzazione, in realtà è la naturale conseguenza di un processo incompleto dettato da esigenze che il mondo dell'economia ha imposto al mondo della società. La riflessione pare slegata dal contesto sociale e culturale ma non è così, le condizioni di vita imposte dalle nuove regole economiche hanno determinato un rinserrarsi nella propria religione e cultura da parte di grandi masse sradicate dalle loro nazioni, su questo ha fatto leva il processo di radicalizzazione religiosa intrapreso dai movimenti più estremi determinando un incremento delle situazioni di progressivo autoisolamento delle comunità islamiche fuori dal suolo patrio. Quello che si sta scavando è un solco profondo che minaccia un'integrazione sempre più obbligata, la sempre minore importanza delle guide religiose moderate acuisce il problema già dal momento della partenza dei flussi migratori, chi arriva, in gran parte, è già poco disposto ad una integrazione nella nuova società. E' anche vero che la sempre maggiore riduzione degli investimenti statali in materia di immigrazione non aiuta e non favorisce il processo, ma il dato della percezione della popolazione è oltremodo allarmante. Se poi si pensa a quanto successo in Egitto, solo la punta dell'iceberg della condizione dei cristiani nei paesi musulmani, si ci convince sempre più che stiamo entrando in un'epoca che sarà caratterizzata dai conflitti religiosi, infatti se lo scorso secolo, un'epoca storica finita, era caratterizzato dalla contrapposizione Est-Ovest, ora si rischia un ritorno al tempo delle crociate. In realtà l'attuale contrapposizione sta diventando Nord-Sud ed i due poli si stanno identificando con cristianesimo ed islamismo, non è una semplificazione eccessiva anche perchè l'identificazione ora sta abbracciando anche i laici delle rispettive religioni, se non si pone un freno costruendo ed intensificando il dialogo tra le parti moderate la profondità del solco della divisione rischia di diventare incolmabile.

martedì 4 gennaio 2011

UE: la difficile presidenza dell'Ungheria

Il fatto che l'Ungheria sia ora Presidente di turno della UE, non fa altro che mettere ancora di più sotto i riflettori la gravità della legge illiberale sulla stampa adottata dal paese magiaro. Ma il problema che oltrepassa i confini ungheresi è lo scontato conflitto istituzionale che si sta sviluppando in seno a Bruxelles. La domanda di fondo è se l'esercizio della presidenza possa essere legittimo esistendo un vizio di fondo così grave come la promulgazione di una legge contro la libertà di parola, certamente contraria ai principi ispiratori dell'Unione Europea. Che non esista una norma che regoli casi come questo è una falla del sistema sovranazionale, tuttavia era obiettivamente difficile prevedere che nel 2011, il vecchio continente potesse essere ancora affetto da problemi del genere. Probabilmente l'eccesso di buona fede del legislatore europeo, che confidava nello sviluppo costante delle istituzioni democratiche, ha generato un caso non da poco e destinato a fare scuola e, ci si augura, anche a produrre nel sistema quei necessari anticorpi legislativi capaci di ovviare a casi del genere. Ma il problema contingente è adesso, la Germania ed il Lussemburgo sono le prime nazioni che hanno espressamente dichiarato di non gradire che sul suolo europeo sia vigente una legge illiberale, altri paesi seguiranno i primi due; prevedere un conflitto istituzionale a breve non è un'idea peregrina, anche perchè l'Ungheria non pare recedere dai propri propositi. Il timore è quello di assistere ad una grave impasse operativa della UE in un momento dove le decisioni devono essere le più veloci possibili. Quello che ci si augura, a parte l'ovvio stralcio della legge sul bavaglio alla stampa magiara, è un maggior peso delle istituzioni europee nel contrastare  provvedimenti del genere el'avvio di un processo di ripensamento dei criteri non solo dell'allargamento ma anche del mantenimento della composizione dei paesi della UE.

lunedì 3 gennaio 2011

Prospettiva libanizzazione per l'Egitto

La situazione egiziana, dopo l'attentato alla chiesa copta di Alessandria è sull'orlo di un terribile abisso: il pericolo concreto di unalibanizzazione dello stato è ora più concreto. La progressiva islamizzazione del paese, fattore comune con tutta la fascia del basso mediterraneo e non solo, ha rotto, di fatto, equilibri millenari, basati sul reciproco rispetto e la pacifica convivenza. Il fattore scatenante è stato il tipo di islamizzazione che ha preso campo, non di tipo moderato ma caratterizzato da un'elevata radicalizzazione. Il cristiano non è più visto come un conterraneo di fede diversa, ma un potenziale agente occidentale, un nemico sul suolo patrio o peggio un traditore. Le condizioni dei cristiani sono peggiorate sia dal punto di vista religioso che civile, non è raro che per lavorare debba essere dichiarata la confessione religiosa, discriminando così i non mussulmani. In Egitto la delaicizzazione della politica ha introdotto nel parlamento formazioni basate su di una visione estrema dell'islamismo, che ha favorito una separazione sempre maggiore in chiave confessionale delle componenti sociali del paese. La tensione è andata sempre più innalzandosi, anche per motivi economici, fino all'attentato di Alessandria. Un'ipotesi verosimile, tra le tante, può essere che, come affermato dagli inquirenti, si sia trattato di un attentato effettuato dall'organizzazione terroristica Al Qaeda, in questo caso si potrebbe ipotizzare che sia stato  compiuto con la chiara intenzione di soffiare sul fuoco per esasperare una situazione già fortemente compromessa. Provocare una guerra intestina potrebbe significare il coinvolgimento del mondo occidentale dalla parte dei cristiani, generando problematiche tali in grado di portare allo scontro diretto. Forse quello a cui mirano gli attentatori è l'unità islamica politica e militare, progetto da sempre percorso da Bin Laden, compattando i movimenti più estremi con una guerra di religione. Anche la questione palestinese, in quest'ottica assume un valore sempre più importante, sarà importante che i due contendenti seguano un profilo più basso possibile per non esasperare gli animi.

domenica 2 gennaio 2011

La Grecia vuole fortificare la frontiera con la Turchia

La Grecia pensa di costruire un vallo al confine con la Turchia sul modello di quello tra USA e Messico. E' la soluzione, secondo Atene, per bloccare il flusso più corposo di immigrazione illegale verso l'Europa, che passa proprio da questa frontiera. Se, da un lato, vi è del vero sull'entità del problema è anche assodato che siamo in un territorio piuttosto caldo dal punto di vista delle relazioni internazionali. Grecia e Turchia non si sono mai viste di buon occhio, ma in questo momento i rapporti tra i due stati confinanti sono vicini allo zero. La Turchia è sempre in lizza per entrare nell'Unione Europea e la costruzione di un confine invalicabile da parte del vicino più immediato è vissuto come l'ennesima bocciatura alle sue aspirazioni europeiste. Senza malizia la mossa greca desta qualche pensiero non proprio limpido sulle reali intenzioni dell'operazione. L'entrata nella UE del paese turco sposterebbe le frontiere dell'unione più a sud ed Atene non sarebbe più così l'estremità di Bruxelles; ciò potrebbe far perdere cospicui finanziamenti destinati al presidio delle friontiere. Costruire, con un investimento anche cospicuo, un sistema di fortificazione con la Turchia avrebbe l'effetto immediato di rafforzare gli scettici all'ingresso nella UE del nuovo paese rallentandone ulteriormente il processo di ingresso e nel caso di funzionamento del controllo dell'immigrazione illegale costituirebbe una prova aggiuntiva contro il paese del Bosforo, tra l'altro accusato, tra le righe, di non fare molto per impedire il passaggio dei migranti. Sarebbe il colpo definitivo all'ipotesi di un allargamento verso la Turchia dell'Unione Europea, l'occasione tanto desiderata dai contrari per porre fine ad ogni velleità europeista del paese della mezza luna. Atene è consapevole di fare leva su questi sentimenti: no all'immigrazione illegale  e no alla Turchia, sono ragioni che permettono di sfondare porte aperte nei movimenti localistici e particolaristici, al governo in buona parte dei paesi dell'europa, proprio su questi alla fine fa leva la costruzione del vallo. Bruxelles ancora una volta si distingue per l'attendismo incerto, ancora una volta la mancanza di una guida univoca lascia le cose alla propria deriva: è l'ennesima prova della necessità di istituzioni europee meno compassate, più forti e più indipendenti.