Politica Internazionale

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venerdì 4 febbraio 2011

L a chiesa cattolica immobile sulla scena internazionale

Oltre un centinaio di teologi cattolici di Germania, Austria e Svizzera hanno emesso una dichiarazione congiunta che chiede la fine del celibato obbligatorio per i sacerdoti e la possibilità di ordinazione anche per le donne. Si stima che circa un terzo dei teologi di Germania, Austria e Svizzera facciano parte della corrente cattolica favorevole a questi cambiamenti in seno alla chiesa di Roma. I tre paesi sono quelli da cui spesso provengono critiche alla dottrina della chiesa ed il tema in questione è già stato sollevato altre volte. Il fatto risulta ancora più importante se si pensa che questa proposta viene dal paese del Papa (il quale, peraltro, aveva firmato una proposta analoga negli anni sessanta). La proposta è destinata a suscitare accesi dibattiti all'interno dell'ortodossia vaticana. La chiesa cattolica non sta passando un buon momento: il problema della pedofilia (per la quale questa proposta non intende essere una soluzione), gli scandali economici e la scarsità delle vocazioni determinano una situazione di difficoltà acuta. All'interno della geopolitica cattolica il fermento proveniente dall'europa centrale rischia di incrinare equilibri di già poca stabilità. La spinta in avanti che viene richiesta potrebbe portare a fratture, non evidenti in superficie, con le prelature dei paesi meno tradizionalisti che vedono di buon occhio una ventata di rinnovamento nell'ingessato mondo cattolico. Vi è tutta una linea all'interno della chiesa cattolica che richiede una maggiore reattività ai problemi del mondo che cambia, il problema della globalizzazione è direttamente connesso con le difficoltà del mondo del lavoro e della finanza, temi sui quali l'atteggiamento prudente è stato sovente visto come un comportamento di parte in causa in ragione di dubbie vicende che hanno coinvolto organismi vaticani. La maggiore trasparenza è una della richieste più pressanti alle alte gerarchie. Anche nella politica estera non paiono esserci novità rilevanti, i continui richiami al rispetto dei diritti civili sono da considerarsi un obbligo per una organizzazione religiosa, tuttavia il resto dell'attività diplomatica pare arroccarsi soltanto nella singola difesa della libertà religiosa per i cattolici, non ci sono azioni eclatanti ad esempio per la pace del mondo aldilà delle occasioni di rito. Nel suo immobilismo la chiesa cattolica non sfrutta le situazioni contingenti per esercitare una concreta azione internazionale da protagonista. In questo quadro anche la richiesta dell'accesso al matrimonio per i sacerdoti pare una notizia rilevante.

Diplomazia europea e situazione del Mediterraneo meridionale

L'Europa pare colta di sorpresa dalle proteste della sponda sud del Mediterraneo, si avverte un senso di smarrimento totale sia dai singoli paesi della UE, che dalle istituzioni comuni. Le dichiarazioni sono di facciata, generici appoggi alle istanze dei popoli in rivolta riconoscono l'esigenza dell'assicurazione dei diritti fino ad ora negati; atteggiamenti lapalissiani che si distinguono per la loro ovvietà. Quello che lascia interdetti è che le diplomazie europee paiono essere disorientate sia di fronte ai moti, che seppure improvvisi dovevano essere in qualche modo previsti, che all'atteggiamento da prendere con il risultato di esprimere un moto ondivago che pende ancora per la maggioranza per i regimi in carico. Questa situazione è da imputare a politiche mediterranee esercitate, a livello di singolo paese, senza grande respiro procedendo cioè ad un passo per volta con ogni singolo interlocutore. In questa miopia non ci sono state eccezioni, tutte le ex potenze coloniali e gli altri paesi della sponda nord del mare nostrum hanno proceduto in egual modo. Ancor peggiore l'atteggiamento dell'Unione Europea che non ha mai intrapreso un progetto di ampia portata che sapesse coinvolgere in una visione comune l'intera area del bacino del Mediterraneo: una grande occasione persa per contare ed indirizzare la politica specialmente in un momento come questo. Le scelte sono state influenzate dal mantenimento dello status quo impedendo, in modo ignavo, lo sviluppo di questi giorni. Non si è mai cercato di indirizzare verso un processo democratico gli stati della sponda sud, non si sono mai esercitate pressioni in ambito internazionale per la violazione dei diritti. Intrattenere relazioni ufficiali magari compiacendo il dittatore di turno, non è una via diplomatica consona per porsi nell'attuale contesto mondiale, occorre che le diplomazie europee si facciano carico delle loro responsabilità altrimenti il destino è quello della serie B della scena internazionale.

giovedì 3 febbraio 2011

Nel 2030 gli islamici maggioranza del pianeta

Il Pew Research Center, istituto di ricerca statunitense ha condotto una ricerca sull'espansione della religione mussulmana entro il 2030. Nei prossimi vent'anni viene stimato che la crescita della popolazione di religione islamica crescerà a passo doppio rispetto al resto del mondo. Il rapporto di crescita previsto medio è di 1,5 islamici contro 0,7 non islamici. Il paese con maggiore crescita sarà il Pakistan che sorpasserà l'Indonesia come nazione con più islamici del mondo. Le ragioni di questo aumento su scala mondiale si individuano nella maggiore natalità, nella crescita di aspettativa di vita e nelle migliori condizioni economiche dei paesi ad orientamento mussulmano. Per l'Europa è prevista una crescita più contenuta e nessuna nazione dovrebbe essere a maggioranza mussulmana. La religione cattolica sarà, secondo questa previsione, al secondo posto per numero di fedeli. Può portare problemi questa espansione religiosa? Occorrerebbe disporre di dati più precisi sul peso specifico delle varie tendenze all'interno di questa crescita costante, è chiaro che se un paese come il Pakistan non migliora dal punto di vista democratico e non risolve il problema delle basi talebane sul suo territorio, una crescita islamica non può non andare nella direzione di tendenze integraliste. In altre parole alle condizioni attuali la crescita religiosa che avviene in una nazione dove le madrasse orientano il credo o dove comandano gli ayatollah non può non andare in una direzione tutt'altro che moderata, con conseguenze facilmente immaginabili. Purtroppo la tendenza degli ultimi anni dell'integralismo islamico, pur non essendo la maggioranza numerica, è stata quella di costituire il nucleo più motivato dell'azione contro gli stessi moderati e l'occidente, diventando una riserva di uomini e di idee cui attingere per fini tutt'altro che pacifici. E' chiaro che non si deve intraprendere alcuna lotta di natura religiosa o peggio di cultura, tuttavia occorrerebbe prendere alcune contromisure, di natura pacifica e libertaria, per impedire che questo sviluppo vada incanalato verso le zone grigie dell'estremismo. Diventa così vitale sviluppare il dialogo e la cooperazione culturale, politica ed economica con le parti più moderate dell'islam a partire dalle nazioni fino alle associazioni più radicate sui territori. Si tratterebbe di un investimento per la pace futura che deve passare per lo sviluppo economico che deve favorire la prosperità delle nazioni, nel benessere è più difficile reclutare un martire di Allah, ed incentivare un dialogo che faccia comprendere le ragioni di tutte le parti in gioco arrivando ad una sintesi che scarti ogni opzione armata.

Panarabismo: prospettive e realtà

Le rivolte di popolo della sponda sud ripropongono la questione del panarabismo sebbene in una nuova ottica. Il movimento panarabo originale si proponeva una sorta di unione tra gli stati arabofoni in chiave laica da contrapporre al comunitarismo islamico di matrice ottomana. Il movimento, in realtà non ha mai avuto troppo fortuna per le divisioni di base religiosa che hanno contraddistinto l'universo mussulmano, troppo profondo il solco tra gli sciti ed i sunniti per trovare un punto d'incontro. Maggiore successo ha avuto presso i sunniti propugnatori di una unionealmeno culturale del popolo arabo. Nel corso della storia il panarabismo è stato usato anche come bandiera contro il colonialismo europeo. I recenti fatti dei paesi costieri del mediterraneo del sud hanno sollecitato la riflessione di alcuni osservatori inquadrando i fatti come un possibile risveglio del movimento panarabo, sebben su scala più ridotta. In effetti ci sono caratteri comuni nelle rivolte di Algeria, Tunisia, Egitto e in parte minore di Giordania e Siria che possono ricondurre agli elementi degli albori del movimento panarabo. La mancanza di connotazione religiosa, se non in parte marginale, il moto popolare esogeno dal proprio paese, la problematica economica, sono tratti comuni che però non bastano a connotare in senso di panarabismo le rivolte di questi giorni. Un tratto comune può essere identificato sulla base territoriale, anche se manca la continuità per la presenza della Libia, dove la natura più ferrea delle dittatura ha impedito, almeno per ora, una sollevazione popolare. La mancanza più importante è però un movimento su base sovranazionale che possa organizzare la protesta in senso comune, non dovrebbe intendersi come prospettiva di stato unitario perchè le differenze tra i popoli sono tali da precludere questa soluzione, ma potrebbe essere intesa come alleanza economica ed in futuro politica. Ma sono congetture troppo avanti per la fase attuale, la transizione dei regimi oggetto di rivolta, non solo non è ancora avvenuta, ma non è detto se avverrà e con che modalità ed in quali tempi; per il momento il movimento panarabo è solo unìesercitazione sulla carta.

mercoledì 2 febbraio 2011

Sponda sud del Mediterraneo, Iran ed Israele

Sia Washington che Teheran hanno reagito allo stesso modo ai moti di piazza di Tunisi e del Cairo; in sostanza hanno appoggiato entrambi il popolo insorto per non essere associati ai vecchi regimi. Ma le similitudini terminano qui, la strategia Iraniana cerca di favorire l'ascesa al potere della parte più integralista dei mussulmani. Poco importa che a Tunisi la rivolta non sia stata caratterizzata da esponenti religiosi e a Il Cairo il partito dei Fratelli Mussulmani ha ammesso di essere solo una parte delle componenti della totalità delle manifestazioni. Nonostante questo il vero interesse di Teheran è di circondare Israele con un cordone di stati islamici e mettere in seria difficoltà il processo di pace, se non di scatenare una guerra su base regionale. Il sogno iraniano è che si ripeta quello avvenuto sul suo territorio, dove un dittatore, lo Scià di Persia, è stato abbattuto e sostituito da una repubblica teocratica, peggiorando alla fine le condizioni del popolo. Ahmadinejad non ha nulla da perdere perseguendo questa strategia, anche se non ci fosse la presa del potere da parte degli integralisti avrà comunque guadagnato a costo zero, grande credito in termini di immagine presso le flangie più oltranziste della religione mussulmana e presso i gruppi estremisti. Per Israele la soluzione è di accelerare il più possibile il processo di pace con la Palestina, il tempo stringe e non è il momento di indugiare ancora. L'attualità quotidiana dei fatti nella sponda sud del Mediterraneo ha distolto l'attenzione dal processo di pace per la Palestina, la speranza è che i due argomenti non abbiano incroci pericolosi per la pace mondiale.

Mediterraneo del sud: autodeterminazione e politica internazionale

La situazione nella sponda sud del Mediterraneo offre un notevole strumento di analisi politica non solo internazionale. Ci sono diversi ingredienti che meritano una attenta valutazione già come eventi singoli, ma ancor più spunti offrono se guardati nel quadro d'insieme. Queste rivolte che paiono nascere spontanee, ed in parte sicuramente lo sono, a causa, in prima battuta della situazione economica che va a legarsi in seconda battuta sul tema dei diritti negati, devono focalizzare il tema dell'autodeterminazione dei popoli. E' una banalità dire che non siamo nell'800 europeo quando ad esempio nacque l'Italia e non siamo neanche di fronte alla disgregazione dell'impero ottomano o di quello austro-ungarico con la conseguente nascita degli stati mitteleuropei. Quella situazione storica, che in quel particolare momento era di grande movimento sia culturale che sociale non si può certo paragonare all'era globalizzata nella quale viviamo. Inoltre siamo in stati già territorialmente definiti, quindi manca l'elemento della ricongiunzione con porzioni territoriali sotto ad altri ordinamenti e manca anche la lotta di liberazione da invasori stranieri, fase già vissuta anche in epoca recente, da tutti gli stati protagonisti dei sommovimenti attuali. Ci troviamo di fronte a rivoluzioni che appaiono esogene di popoli intenti a cercare una via alternativa a quella che stavano percorrendo, stanno cercando, cioè, di autodeterminare il proprio destino. La fase è molto delicata perchè più è prolungata più vi sono possibilità che organizzazioni non orientate alla soluzione democratica vadano a riempire il vuoto creato, andando, di fatto a peggiorare la situazione precedente (il caso Iraniano è eloquente e si caratterizza per molte similitudini con i casi attuali). Naturalmente non ci si muove in condizioni asettiche, di laboratorio, ogni paese non è isolato dal contesto internazionale e quindi sono da valutare le ripercussioni che questa autodeterminazione va a creare. Quello che si sta modificando è uno status quo, anche a livelllo di relazioni tra stati, frutto dell'incrocio di molteplici variabili: politiche, economiche e sociali. La domanda è questa: si può pensare che possano essere lasciati sgombri i campi di intervento da parte di attori esteri? No, non è possibile, per le implicazioni economiche (la presenza di gasdottti ed oleodotti o anche la presenza di giacimenti culturali patrimonio dell'umanità), politiche (occorre evitare l'insediamento di partiti religiosi estremisti per la pace della regione)ed anche culturali perchè vi è la necessità di costruire da zero una nuova classe dirigente. La variabile estera non è unica, sono diversi gli stati interessati a vedere come andrà a finire. Il più coinvolto appare Israele che sente farsi concreto il pericolo di essere circondato da paesi dove il peso politico mussulmano rischia di aumentare pericolosamente, ciò crea apprensione anche negli USA per il filo doppio che li lega a Tel Aviv; proprio per questo Obama sollecita una soluzione veloce e democratica che non consenta spazio ad integralismi di sorta, sopratutto in Egitto, paese chiave perchè confinante direttamente con Israele. La fluidità della situazione non consente previsioni certe, anche se il coinvolgimento di attori esterni si fa sempre più pesante, nessuno parla dell'Iran ma appare impossibile che dietro le fazioni mussulmane la spinta di Teheran sia assente, sopratutto dopo la politica di Ahmadinejad praticata al confine con Israele. In conclusione nel teatro globale nessun popolo può veramente autodeterminarsi in maniera totale ed anzi nel contesto attuale ogni pedina deve rientrare in uno schema o in un altro per fare quadrare il risultato finale.

martedì 1 febbraio 2011

Le due Coree aprono ad incontri preliminari di tipo militare

Le due Coree si sono accordate per una serie di incontri tra responsabili militari, la natura degli incontri è stata definita preliminare. E' curioso che gli incontri si svolgano a livello di responsabili militari e non conivolgano, invece politici e diplomatici. Non si capisce su cosa debbano conferire militari di forze avverse, nella normalità possono incontrarsi per stabilire le condizioni tecniche immediatamente dopo la fine dei combattimenti, negoziare un armistizio al primo livello, non possono certo occuparsi di questioni più profonde come, ad esempio, le condizioni riguardanti territori, confini ed eventuali danni di guerra. Il livello dell'incontro tra militari è una fase rapida del negoziato tra due nazioni nemiche immediatemente dopo subentrano i politici ed i diplomatici. E' vero che la situazione coreana appare ancora fluida ma fortunatamente il momento delle cannonate è finito da qualche tempo, ora dovrebbe essere l'ora dei negoziati per gli addetti ai lavori. L'unica eventualità è che i colloqui militari preliminari vertano attorno alle modalità di riconoscimento delle frontiere in caso di passaggi fortuiti, occorre ricordare che la frontiera marina, argomento che ha dato il via agli scontri, è materia di non chiara definizione per le diverse interpretazioni dei trattati da parte dei due stati. In questo caso gli incontri potrebbero avere una ragione propedeutica per gli addetti dei settori militari, determinerebbero cioè una prevenzione all'evenienza di ritorsioni belliche in casi di sconfinamenti fortuiti, un accordo cioè che possa prevedere un'applicazione delle frontiere marine più elastica per il mantenimento della pace. In questo caso saremmo in presenza di un'operazione tesa ad evitare ricadute comprendenti opzioni militari e quindi a favore della pacificazione.