martedì 7 luglio 2015

Il voto greco usato dai movimenti contro l'Europa

Uno degli effetti, certamente non secondari, del voto greco è stato quello di cercare di appropriarsi del risultato referendario da parte delle formazioni anti europee e populiste. Per la verità si tratta di un evento ampiamente atteso, ma che deve porre una riflessione attenta riguardo al futuro dell’Unione Europea, che va ben oltre il destino della moneta unica. Nelle intenzioni di Tsipras non vi era certamente quella di dare voce ai partiti populisti, anche perché il primo ministro greco si è sempre detto contrario ad una uscita di Atene dall’euro e dall’Europa; tuttavia già in campagna elettorale, i partiti di destra, quelli populisti e quelli anti europei hanno iniziato una sorta di appoggio alla decisione di effettuare il referendum, con il presupposto di garanzia di democrazia. Certamente ciò è vero, ma per molte di queste formazioni la decisione del governo greco è stata soltanto un espediente per rinforzare le proprie posizioni. L’errore fondamentale, ancora una volta, è stato di chi ha condotto ed impostato le trattative sulla base di un rigore economico anacronistico, a cui sono state sacrificate tutte le tattiche possibili per non permettere ai populisti di continuare la propria propaganda: è stato facile, infatti, per leader come Marine Le Pen, parlare di vittoria sull’oligarchia europea. Purtroppo in questa critica vi è più di un fondamento di verità, il che non vuole dire che la soluzione proposta dell’estrema destra francese, come quella dei partiti populisti italiani, inglesi, olandesi e delle altre nazioni europee sia corretta. Per combattere questa Europa, si propone, in sostanza, di dissolverla e ritornare indietro nel tempo ad un assetto sicuramente perdente contro potenze sempre più grandi, che possono mettere assieme risorse e mezzi di produzione non contrastabili con la divisione rigida delle nazioni europee, che era vigente prima della nascita dell’Unione Europea. La soluzione più corretta, al contrario, sarebbe quella di accelerare l’unità politica all’interno di un quadro istituzionale capace di fornire garanzie di democraticità ed uguale trattamento tra gli stati membri, seppure nel rispetto dell’assolvimento dei propri obblighi. Questa impostazione, che dovrebbe essere naturale, appare invece osteggiata dal membro forte dell’Unione, la Germania, che ha impostato, in questa fase storica, il proprio sviluppo economico imponendo una rigidità finanziaria agli altri membri, per permettere di sviluppare condizioni favorevoli solo a Berlino. Quello che più sorprende è che l’azione tedesca non sia stata sufficientemente osteggiata da altri paesi, come la Francia, il cui governo avrebbero tratto giovamento nella percezione del corpo elettorale. Al contrario il voto greco viene vissuto con fastidio e come un insulto alla politica fiscale dell’Unione e non si vuole correre ai ripari per evitare il dilagare del populismo. La situazione appare bloccata su discorsi di principio e mancanza di flessibilità e di capacità di adeguarsi alla realtà contingente, che non è solo la refusione del debito, ma investe una panoramica molto più vasta, che attraversa le relazioni internazionali, fino ad arrivare alla sopravvivenza stessa dell’istituzione di Bruxelles. Con questa miopia non si fa altro che favorire il populismo e da li, il passo verso l’autoritarismo appare molto breve. Del resto all’interno della stessa Unione Europea c’è già l’esempio molto negativo del caso ungherese, contro il quale Bruxelles non è andato oltre generici ammonimenti, confermando la propria pochezza politica. In un quadro del genere le speranze dei fondatori dell’Europa sono già state tradite abbondantemente, ma continuare nella più assoluta rigidità potrebbe mettere in pericolo la sicurezza finanziaria ed economica di chi adesso sta portando avanti questa politica deleteria, fornendo ai partiti anti europeisti ogni giorno di più, argomenti per decretare la fine dell’Unione Europea.

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